Le passioni non si spiegano , o si accettano o si rifiutano


Testimonianza

La prima volta che misi piede sul suolo di Alicudi, seppi con assoluta e tranquilla certezza di essere tornata a casa

La prima volta che misi piede sul suolo di Alicudi, seppi con assoluta e tranquilla certezza di essere tornata a casa. Una
sensazione per me completamente dimenticata dai tempi dell’infanzia, quando casa significava monti coperti di abeti
intervallati da pianure coltivate a fieno e frumento, verde scuro quasi nero, verde saturo, verde fresco punteggiato dai colori dei prati fioriti, verde, verde, verde e, in inverno, il bianco soffice e brillante della neve da cui spuntavano
gli abeti neri. La Foresta Nera.
Dopo, non ho mai più sentito questo senso di appartenenza epidermico, né nei luoghi in cui ho vissuto e neppure nei miei tanti viaggi. Fino al giorno in cui sbarcai per una breve vacanza ad Alicudi, la più sperduta delle Isole Eolie. Quale
bizzarro scherzo del destino mi avesse attribuita la sensazione di “casa” proprio lì, in quel luogo improbabile, quattro casupole arrampicate su un cappello da strega emerso dal mare…io non lo so. E quale follìa mi avesse guidata nell’acquisto, due giorni dopo il mio arrivo, di un minirudere con 1000mq di terreno incolto a 263m su per il cono, anzi di un panorama con annesso rudere…. ancora ogni tanto me lo chiedo, ma non mi sono mai pentita di quella scelta né di tutte le avventure che fanno parte del pacchetto.

Uta Zorzi Mühlmann
Nasce nella Foresta Nera. Studi in Belle Arti, Scenografia e Architettura del
Paesaggio.
Laurea in Architettura del Paesaggio in Germania.
Attività didattica e professionale nel campo dell’architettura del paesaggio
e della land-art per committenti pubblici e privati in Italia e all’ estero. Vive e lavora
ad Anguillara Sabazia e Alicudi.

Nei quasi dieci anni trascorsi da quel giorno, il rudere è diventato una quasi casa, il panorama è sempre il pezzo forte e il terreno sempre incolto.
All’inizio pensavo ovviamente di sistemare il giardino, se non per prima cosa, subito dopo, ma nei dieci anni trascorsi, tra un pensiero e l’altro, il giardino è sempre rimasto restìo a qualsiasi ordine imposto, tenacemente incolto, anzi colto a
modo suo, come tutto ciò che vive su quell’isola.
Come paesaggista questa è stata per me una sfida intellettuale prima, e un grande insegnamento poi. Mi ha indicato la via, non solo per affrontare il mio giardino ribelle, ma anche per tutto il resto della mia produzione progettuale. Ho capito che il “fare” non deve mai cercare di “sopraffare”, certe volte deve essere un farsi da parte, e addirittura un lasciare fare. Lasciare fare non significa voltare le spalle e fregarsene, bensì lasciare che il luogo faccia il suo percorso, esprima la sua natura, e, entrando in contatto con le mie idee, risuoni in armonia.

Caos vitale, foto di Uta Zorzi Muhlmann

Cerco di creare una composizione, com-posta da più voci, che accordi gli elementi estranei e inediti, portati dalla mia creatività nomade, con le presenze significative del luogo e infine anche con quel potenziale incontrollabile che, nel processo di crescita di un giardino, rappresenti ciò che c’è di più vitale. Non progetti definiti o statici e imprescindibili, ma partiture in cui la musica possa cambiare, trasformarsi, mutare, dove c’è spazio per l’improvisazione, sulla traccia melodica da me indicata.

 

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