Musica

Frank Zappa, vita da genio

 

 

Arrivare a casa alla sera dopo una giornata di intenso lavoro e allungare la mano dove sono collezionati quasi
tutti i cd ed i vinili di FZ, artista visionario, conoscitore della tradizione musicale popolare americana irretito
dalle architetture della musica colta, bandleader, compositore rigoroso, chitarrista virtuoso, ironico, dissacrante, iconoclasta, sperimentatore… e sedersi in relax sulla propria poltrona ad ascoltare le sue note… questa è un cellula di felicità…

Nato il 21 dicembre 1940 a Baltimora, Frank Zappa non era solo un grande chitarrista, non era solo un grande musicista rock estremamente prolifico (la sua discografia è immensa: più di 80 album), non era solo un intelligente provocatore: era innanzi tutto un grandissimo musicista, la cui grandezza è stata riconosciuta (caso più unico che
raro, per un artista di estrazione rock) da grandi autori di musica “colta” come Karlheinz Stokhausen, o Pierre Boulez.
Quest’ultimo ha detto di lui: "Come musicista era una figura eccezionale perché apparteneva a due mondi: quello della musica pop e quello della musica classica. E non è una posizione comoda". Zappa è insomma uno dei geni più importanti della musica moderna, capace di passare dal rock alla musica "classica", dalla parodia al jazz, da Stravinsky alla sperimentazione pura, dall’elettronica all’oltraggio. Sempre inventando, creando, andando oltre le mode e le tendenze. Di origine siciliana, Frank Zappa il folle cominciò ad interessarsi di musica prestissimo, non ancora adolescente. Com’è naturale, all’inizio saggia un po’ tutti gli strumenti e ascolta con spirito insaziabile tutto ciò che gli capita a tiro. Ben presto scopre le avanguardie colte, sia europee che americane (Webern e Varèse su tutti) e se ne innamora.

“Influenzato dalla musica classica tradizionale e contemporanea
ho perseguito un’intenzionale anarchia musicale, sotto il segno
del rock” Frank Zappa 1986

Il suo background da autodidatta non gli permette però di mettere a frutto sullo stesso piano quelle conoscenze e così si rivolge ad un genere più accessibile, il rock, di cui però farà, a differenza di quasi tutti i musicisti – o presunti tali – che si beano di quel termine fintamente trasgressivo, una palestra per ogni genere di sperimentazione, non ultima la parodia del rock stesso. I primi soldi li guadagna scrivendo "gingle" pubblicitari per le televisioni locali assieme a Donald Van Vliet, poi noto con il soprannome di "Captain Beefheart", storico collaboratore dello Zappa-pensiero (ma anche produttore di grandi dischi in proprio); poi si impone per le colonne sonore di alcuni film (tra cui "The world’s greatest sinner" e "Run home slow"). La sua carriera di musicista comincia a decollare.
Nel 1964 Zappa entra nei "Soul giants", gruppo di rhythm’n’blues trasformato di lì a poco nei "Mothers of invention", con i quali pubblica nel 1966 l’album capolavoro "Freak out!" (seguiranno poi molti altri dischi), un saggio di dove può arrivare l’acida distorsione parodistica di Zappa. A quel primo stravagante progetto (che fra l’altro detiene il primato di essere, contro ogni logica commerciale, il primo LP doppio di un esordiente) segue un altro disco stavolta di ancor meno facile digeribilità: lo sperimentale “Lumpy gravy”, un qualcosa che si può forse avvicinare, per certi versi, all’estetica dell’anti-compositore John Cage. Parlando di “rock”, non è poco. Per capire la distanza che separava Frank Zappa dagli altri basti pensare che quello è l’anno in cui viene anche pubblicato “Sgt. Peppers” dei Beatles: grande disco, ma pur sempre di musica “normale” e accettabile da tutti. “Absolutely free” e “Were only in it for the money” sono i prodotti successivi partoriti dalla fervida immaginazione del musicista italoamericano.

Vi sono state, certo, alcune “vette” nella storia del rock, che hanno rappresentato anche
momenti di contatto col mondo della musica classica. Pierre Boulez, per esempio, ha diretto
musica di Frank Zappa; dunque, anche dal mio punto di vista, inevitabilmente
“viziato” dal mio tipo di studi, c’è un rock pieno di “sostanza” musicale.»
Riccardo Muti

La critica già lo acclama, il pubblico un po’ meno, ma lui tira dritto, con grande disperazione delle case discografiche che lo vorrebbero un po’ più regolare e "integrato" nel sistema musicale dominante. Cieco rispetto a bollettini di vendita, pubblica dischi in cui come su un ottovolante impazzito si usa di tutto (persino il jazz) come, per citare solo i più importanti, “Hot rats" (a ben guardare, a sorpresa uno dei pochi successi commerciali di Zappa), "Grand wazoo", "Sheik yerbouti", "Joès garage", "Yellow shark" e "Civilization phase III"; gli ultimi tre lo vedono alle prese prima con l’elettronica poi con la più tradizionale orchestra sinfonica. Dal 1983 oltre a pubblicare come al solito titoli in modo torrenziale (moltissimo anche il materiale dal vivo, non importa se poi rielaborato in studio), Zappa ha sviluppato un’importante collaborazione con il "guru" delle avanguardie, Pierre Boulez, affidando molte sue opere alla direzione del maestro francese. Nel suo percorso artistico ha poi scoperto il Synclavier, campionatore – computer rivoluzionario per quegli anni in grado di riprodurre brani impossibili da suonare. Alla fine degli anni ottanta, compie alcuni tour con un ensemble di dodici elementi con tanto di sezione fiati e un larghissimo uso dell’improvvisazione. Frank Zappa in sintesi ha incarnato, con i suoi testi dalla satira tagliente e la sua enciclopedica estetica musicale, una delle figure più complesse e affascinanti della storia del rock, capace di oltrepassare le barriere fra i generi e di inventarne di nuovi.

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