Documenti storici

di Franco Visintin, Vicepresidente dell’Associazione Culturale Valtellinesi a Milano

In una tiepida giornata autunnale del 1921, in una vecchia casa valtellinese, si materializza una figura di cui tante leggende alpine narravano da secoli…

Era il 15 ottobre del 1921, nelle Alpi lombarde, in una piccola valle che confluisce nella Valtellina all’altezza di Morbegno, la Val Gerola. Era autunno, quando dai pendii assolati l’uva era stata colta per la vendemmia, che là si compie più tardi che altrove. Una di quelle valli, come la contigua Valle del Bitto, oggi famosa per l’omonimo formaggio, i cui sentieri erano stati percorsi nei secoli dai mercanti veneziani che, risalendo dalla Val Brembana, al di là della catena delle Orobie, portavano le loro merci attraverso Morbegno verso la Svizzera e la Germania. Un mondo ormai scomparso.
Giacomo Pini capo della Segreteria del Comune di Morbegno, uomo di grande cultura ed appassionato della storia di quei luoghi, era stato invitato a dare un’occhiata ad una vecchia casa di Sacco, un paesino di 300 anime, una manciata di case buttate sulla montagna.

Casa di Arlecchino a
S. Giovanni Bianco
Morbegno, mappa della bassa Valtellina.
A pochi km a sud-ovest di Morbegno è il
paesino di Sacco (frazione di Cosio)
Casa Salvadego, casa di Sacco ove al primo piano si trova la “Camera Picta” dell’Homo Salvadego

“Abbiamo liberato dal fieno una vecchia stanza, vedrà che c’è qualcosa che può interessarLa” gli era stato detto. La casa era una vecchia costruzione del ‘400 formata da un piano terra ed altri due piani. Al primo notò un portale, troppo imponente per una casa di contadini, fiancheggiato da due pesanti stipiti di pietra ollare, quel serpentino che, cavato in Valmalenco, orna tutte le architetture valtellinesi, ed incorniciato da un ricco arco alla sommità del quale vigilava una strana testa a tre volti, la SS Trinità. Sull’arco faceva bella mostra di sé una scritta: “in nomine tuo Christe Benedictus sit lochus iste. Sit pax intranti. Sit in tua Gratia quam moranti”, un benvenuto a chi entrava ed un bentrovato a chi vi abitava.

Raffigurazione della S.S. Trinità sull’arco
del portale della Camera Picta di Sacco

Varcato il portale, Giacomo si accorse con grande stupore di trovarsi in una“camera picta”, come vengono chiamate le stanze interamente affrescate: di fronte una parete decorata con grandi raffigurazioni di fiori di cardo e, sulla destra, un “compianto” ove un Sant’Antonio Abate ed un San Giovanni osservano sgomenti la Madonna con sulle ginocchia il Cristo. A destra del compianto sta genuflesso un omino, evidentemente il committente dell’opera, la cui identità è denunciata da un cartiglio: Agostinus De Zugnonibus. Era dunque uno Zugnoni, famiglia di notai che Giacomo sapeva che avevano ivi vissuto fino ai primi dell’800. Da un’altra parte dell’affresco gli artisti avevano lasciato firma e data: “Ego Batestinus et Simon pinxerunt die 18 madjj 1464”. Dunque la camera picta risaliva a metà del ‘400! Gli artisti, probabilmente itineranti visto il tono un po’ naif dell’opera, erano Battista e Simone, nessuna altra informazione che ne indicasse la provenienza. Ma le sorprese non erano finite. Girandosi verso il portale da cui era entrato, Giacomo si accorse che tale ingresso era controllato da due figure vagamente minacciose, simili a quei draghi che in Estremo Oriente fiancheggiano l’ingresso dei templi con intenti chiaramente apotropaici, volti cioè a tener lontana la malasorte. A destra era affrescato un arciere che, peraltro con un volto un po’ perplesso, brandiva un arco mentre un cartiglio-fumetto diceva “e sonto uno che senza malizia de peccati…” (il resto è andato perduto).

Due guardiani dell’ingresso della
Camera Picta: a destra l’arciere, a sinistra
l’Homo Salvadego
l’Homo Salvadego

LA FIGURA IRSUTA
Asinistra del portale invece vi era una strana figura irsuta che brandiva un nodoso bastone e che, con una faccia anch’essa attonita, affermava perentoriamente, come indicato dal relativo cartiglio, “e sonto un homo salvadego per natura, chi me ofende ghe fo pagura”. Era dunque il famoso “Homo Salvadego”, l’uomo selvaggio che le leggende
popolari dicevano errante fra i monti vicini! Il povero Giacomo non poteva credere ai propri occhi, si trovava di fronte ad una di quelle misteriose entità che, come i nonni gli avevano raccontato quando era bambino, popolavano le selve: fate, folletti, orchi ed appunto… homini salvadeghi! Il fieno aveva miracolosamente difeso la camera picta dalle ingiurie del tempo e degli uomini. Da quel momento scoppiò in Valtellina e nelle zone vicine la caccia all’homo salvadego. Ne
vennero scoperti parecchi, ovviamente in figura. Due sorvegliavano minacciosi la Porta Poschiavina che, un tempo parte della cerchia di mura con la quale Ludovico il Moro intendeva afine ‘400 difendere Tirano dalle incursioni grigione, fronteggia il ponte che scavalca l’Adda in direzione del territorio elvetico. Ho detto “sorvegliavano” poiché, anche se affrescati all’interno della porta, sono svaniti in questi ultimi anni per lo scorrere del tempo e per l’ignavia degli uomini. A fianco di questi si intravede ancora una raffigurazione della giustizia grigiona che, brandendo come di consueto spada e
bilancia, rammenta il dominio grigione sulla valle.

Uno dei Cardi raffigurati
nella Camera Picta di Sacco
Il Compianto con (a destra) il committente
dell’opera Agostino Zugnoni

GLI ALTRI SALVADEGHI
Altri Salvadeghi sono stati trovati a Chiavenna, nella Trattoria dell’Uomo Selvatico, in Val Brembana ove a San Giovanni Bianco, sulla facciata della casa cosiddetta di Arlecchino, un nerboruto Salvadego brandisce un bastone e minaccia “Chi non è de chortesia, non intragi in chasa mia; se ge venes un poltron, ce darò col mio baston”. Perfino lo stemma del Cantone svizzero dei Grigioni, formatosi nei secoli dalla federazione di tre comunità locali, presenta l’uomo selvatico come emblema di una di tali comunità, quella delle Dieci Giurisdizioni intorno a Davos. Ma homini salvadeghi ve ne è nei posti più impensati: ben quattro allignano fra le guglie del Duomo di Milano, confusi fra le mille statue che lo decorano: uno è arrampicato su un doccione, due sono dalla parte dell’abside ed uno in una crociera di volta nell’interno.
Mi aspetto di vedere qualche milanese col naso all’aria nella disperata ricerca di tali entità. Ma ancora più strabiliante: ne ho scoperto uno a Genova a Palazzo Principe in un pregevole arazzo fiammingo del ‘500 che fa bella mostra di se in una delle sale del palazzo. Racconta le campagne di Alessandro Magno dall’Asia Minore fino all’India, nelle cui foreste si imbatte proprio in lui, nell’homo salvadego! Oggi la casa di Sacco è diventata un interessante museo e la camera picta può essere visitata. Di tale argomento abbiamo parlato recentemente con gli amici del Rotary Club Milano Monforte confortati dalla presenza di un importante testimone: il figlio di Giacomo, il dott. Giovanni Pini che, dall’alto dei suoi ottant’anni suonati, ci ha rievocato con la consueta arguzia la vicenda del ritrovamento e, soprattutto, lo stupore del padre di fronte a tale scoperta. L’atmosfera era quella giusta: fra vecchi amici e sorseggiando del buon vino, mancava solo la fiamma di un camino… dalla cappa del quale avrebbe potuto scendere inatteso lui, l’homo salvadego.

 

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