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Tex Willer è stato, e lo è ancora, un comics di successo. Tex, l’eroe 33 dei fumetti western italiani, non ha nulla a che fare con il contesto, se non perché compare nella parola context. Questa labile e casuale relazione tutta interna ad un esercizio linguistico, ad un innocuo gioco di parole, rivela tuttavia una condizione che possiamo ritrovare nel complesso rapporto tra progetto e contesto. Come nella mobilità delle parole ricerchiamo spesso altri significati, altre connessioni, altri suoni, selezionando alcune parti, cancellando, aggiungendo e cambiando vocali e consonanti, in un esercizio che vuole forzare l’ordine del discorso per trarre nuove linee di senso, così nello spazio disperso delle città contemporanee, nelle forme instabili del paesaggio e del suolo ricerchiamo, tra le trame di un contesto sfuggente, una ragione,
una risorsa che possa sostenere il progetto di trasformazione di quel luogo. Labilità e incertezza nel contesto della parola e dell’ambiente costruito, alla ricerca di nuove strutture di senso: è questa polisemia, presente in ogni forma discorsiva, in ogni realtà urbana e territoriale a caratterizzare nel profondo la lettura dei contesti. Tex Willer, l’eroe dei fumetti, fatto emergere per gioco dalla parola context, sta ad indicare che l’interpretazione di un testo, come di un luogo o di un territorio, ha bisogno di esplorazione, di immaginazione, di audacia. La trasformazione di un contesto ha bisogno di un progettista, di uno scout pronto all’avventura, che sappia osservare con curiosità, ironia, ma anche con senso di responsabilità e di pietas nei confronti di un territorio in crisi e a rischio.
Il contesto oggi è un sistema complesso, mobile, incerto, non presenta una struttura, un ordine; è piuttosto un intreccio di reti materiali e immateriali, di flussi locali e di relazioni del circuito globale. È l’incontro di contesti diversi: fisici, economici, sociali, culturali. Il processo di progettazione nasce da questa difficile lettura, dall’ interpretazione delle risorse che si nascondono nell’area d’intervento, dalla scoperta, a volta occasionale, di un indizio, di un valore, di un errore, da cui partire per avviare il processo di progettazione.
L’esercizio interpretativo è, in questa prospettiva, determinante.
Nell’intreccio dei fattori che compongono il contesto, nelle sue pieghe più nascoste, nel suo fango, può celarsi la chiave del concept progettuale, il materiale attraverso cui ricercare una traccia, una regola insediativa, una matrice per il progetto. Concettualizzare il contesto per trasferirlo nel processo di progettazione individua una modalità di intervento che vuole, ancora una volta, affermare la positività del progetto e dei suoi esiti. Il progetto, trasformando il contesto, lo costruisce nuovamente. Progettare il contesto è sempre un atto conoscitivo, un’interpretazione critica dei depositi di senso sedimentati nel tempo, delle condizioni presenti e delle potenzialità latenti. La lettura del contesto, diceva Giancarlo De Carlo, è ‘un momento del progetto, ma anche viceversa perché nel progettare non si può mai smettere di leggere’.
1 La concettualizzazione del contesto avvia il processo progettuale, prefigura un esito, anticipa il futuro. È un percorso non lineare, fatto di avanzamenti e di ritorni. Il linguaggio architettonico definisce infine una forma come punto di equilibrio tra le diverse istanze. Il contesto va esplorato progettualmente in più direzioni. La progettazione procede per tentativi, non solo perché avanza per ipotesi, ma perché sollecita, forza, induce in tentazione. Tentare il contesto, esplorarlo richiede capacità di immaginazione. Italo Calvino nelle sue Lettere americane, difronte alla sovrapproduzione di immagini del mondo contemporaneo, invitava a tornare a pensare per immagini, a dipanare il magma visivo affinché una figura tra le tante potesse riuscire ‘ad acquistare rilievo’.2
Far emergere dal contesto, dal suo disordine una figura, una traccia, un’immagine è uno dei passaggi decisivi del processo interpretativo-progettuale. La lettura del contesto non può non essere legata all’attraversamento, all’erranza. La capacità di attraversare i contesti, di percepire le sue molteplici dimensioni e differenze, i suoi diversi flussi, accettando la sua confusione, la sua perdita di unitarietà e di centro, è alla base di una nuova esperienza estetica, di una nuova emancipazione.
Per Vattimo ‘vivere in questo mondo molteplice significa fare esperienza della libertà come oscillazione continua tra appartenenza e spaesamento’.3 Per molti versi, in questa nuova modernità, l’attraversamento dei contesti ripropone la figura del flâneur con il suo procedere con curiosità, ironia, disponibilità verso il nuovo e il diverso.
È possibile che nuovi flâneur possano promuovere una visione estetica dei contesti contemporanei? Che possano indicare, nel disordine e nella molteplicità della città generica, una direzione di senso, di impegno per il progetto? La città generica va puntellata con nuove spazialità, con nuovi nodi, interconnessioni, attraversamenti, in grado di renderla più accessibile, più visibile, più aperta ad una pluralità di letture. È possibile che la città torni a dare emozioni, ad essere un’esperienza estetica e conoscitiva? Non sarà facile, ma se c’è una prospettiva questa passa attraverso un più stretto rapporto tra progetto e contesto.

1. Giancarlo De Carlo, La città porto, Marietti, Genova, 1992, p. 40.
2. Italo Calvino, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Garzanti, Milano, 1988, p. 92.
3. Gianni Vattimo, La società trasparente, Garzanti, Milano, 1989, pp. 7-20.

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