Nella verde campagna catalana
Foto di Emilio Rodriguez Ferrer Testo R. Summer
Nell’Ampurdan, nel cuore della campagna catalana che si distende alle spalle di Barcellona, tra morbide colline, questo edificio rustico tradizionale è stato mantenuto il più possibile intatto sia all’esterno che all’interno, con le pareti di pietra ricoperte di rampicanti o mantenute tali e quali negli ambienti o ricoperte di intonaci rustici di diversa grana per effetti molto grafici.
La Catalogna non è solo spiagge, divertimento e movida notturna: ha anche alle spalle un vasto territorio rurale caratterizzato dall’andamento piacevolmente mosso grazie a boschi e colline, a un paesaggio molto verde e riposante, a una natura ricca di varietà arboree e faunistiche (uccelli in particolare), in totale contrasto con la costa ribollente di persone, motori e musica. In tale mirabile contesto, sorge questo edificio rustico d’epoca seicentesca che conserva ancora intatto tutto il suo lignaggio tradizionale: gli attuali proprietari, scopertolo durante un’escursione nell’entroterra, se ne sono prontamenteinnamorati e l’hanno acquistato dopo una serrata trattativa con la famiglia che ne deteneva la proprietà.
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Come si costruisce un bel prato
Per realizzare il prato, un bel prato intorno alla vostra casa, dovete gestire le prime operazioni con molta attenzione e scrupolosità: ne conseguirete un futuro di gestione facile e di grande soddisfazione. Infatti se operate su un terreno incolto dovrete prima munirvi di un estirpatore e dovrete togliere le pietre dallo spazio interessato dal vostro intervento. Una volta effettuate estirpazione e tolti sassi e pietre occorre una profonda aratura del terreno, almeno 50-60 cm. |
(Se il terreno è già stato coltivato siete fortunati e potete procedere direttamente alla preparazione della semina). La fase iniziale è la preparazione del terreno che permette al seme di trovare un ambiente ideale. Alcuni attrezzi, necessari per questo lavoro sono tra i più semplici in assoluto: vanga o motozappa, zappa, rastrello e tanta buona volontà. È necessario agire fino ai 15-25 cm di profondità per far emergere i sassi in superficie. La lavorazione deve essere effettuata per tempo in modo da lasciare esposto il terreno al sole dell’estate o al freddo dell’inverno. Vangare a fondo tutto il terreno, prestando attenzione nel capovolgere le zolle. Rompere se necessario le zolle più grandi con la zappa, rastrellare a fondo, iniziare a dare una livellata grossolana al terreno. I suoli troppo pesanti possono essere corretti con apporto di sabbia. Dovrete poi lavorare periodicamente il terreno, per eliminare le erbe infestanti, frantumare le zolle ed interrare i concimi. Non conoscendo la natura del terreno, consigliamo di cospargerlo con del letame essiccato (in ragione di 50 kg per 100 mq), che potrete acquistare in pellet nei grandi negozi di agricola e giardinaggio. Questo trattamento garantisce una sicura e omogenea crescita del prato. Mescolare il terreno ormai abbastanza morbido, con colpetti di rastrello usato a mò di zappa. Nella prima fase della semina dovete poi livellare il più possibile il terreno tramite il rastrello, eliminando buche o dossi. |
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Dopodiché si è posto il problema, abituale in questi casi, di cosa fare sul complesso edificato, molto fatiscente: ripristinarlo esattamente tutto com’era oppure ristrutturarlo in maniera più o meno pesante. La scelta è stata la prima ipotesi ed è stata una decisione saggia, dati i valori architettonici e paesistici di cui l’edificio era portatore: due corpi di fabbrica caratterizzati da un mirabile equilibrio tra vuoti e pieni, tra le aperture ad arco da un lato e le finestre e i portoni riquadrati dall’altro, con folti rampicanti che nello stesso tempo coprono e mettono in evidenza le vecchie pietre e gli intonaci di malta bastarda non colorata, con le tegole d’epoca che coronano i tetti. Un intervento di ristrutturazione, anche se scrupoloso e ben condotto, avrebbe inevitabilmente alterato questo contesto e soprattutto avrebbe sacrificato i rampicanti, togliendo tutto il fascino.
L’intervento è stato più che altro di risanamento conservativo, volto a ripristinare e a rimettere nella migliore luce quelle parti che il tempo aveva offuscato e in qualche caso anche danneggiato: tutte le porzioni di pietra dei muri sono state ripulite, spolverate di tutte le parti che si stavano distaccando e sbriciolando, private della malta ormai non più coerente, lavate in superficie (solo con acqua, senza alcun solvente che potrebbe danneggiare le pietre più delicate alterandone i colori) e consolidate impiegando esclusivamente malta di calce, la più adatta per questo tipo di muratura, sia perché è quella che si usava all’epoca della costruzione originale sia perché è più traspirante e quindi non danneggia il naturale passaggio dell’umidità contenuta nei muri verso l’aria esterna; le superfici intonacate sono state spazzolate delicatamente per asportare i frammenti in distacco e, data labuona tenuta sul supporto di pietra, non è stato necessario picconare per togliere tutto lo
strato, quindi si è proceduto al rinzaffo, solo nei punti di carenza, e alla rifinitura a civile, sempre usando intonaci a base di calce, per lo stesso motivo anzi detto; le riquadrature dei portali e delle finestre sono state ripristinata nella loro tinta originale usando sempre una pittura base di calce; le inferriate sono state spazzolate con la brusca di ferro per asportare la vecchia vernice, quindi è stata stesa la mano di anti ruggine e infine la verniciatura con tinta ferromicacea; i serramenti di legno sono stati smontati, ripuliti, modificati per ospitare le vetrocamere isolanti, riverniciati nei colori naturali con tinte a base d’acqua, mentre le aperture al piano terra che originariamente erano prive di finestre (erano le stalle) sono state equipaggiate con serramenti in alluminio anodizzato color bronzo scuro così da mimetizzarsi il più possibile con le linee architettoniche dell’edificio. All’interno, oltre al necessario aggiornamento tecnologico di tutti gli impianti (elettrico, idraulico, riscaldamento, telefonia e dati), sono state ripulite e consolidate le pareti di pietra; sono stati asportati gli intonaci più malandati e rifatti con diverse granulometrie (dalla fine alla molto grossa, rispettando l’aspetto originario) sempre con miscele a base di calce; i pavimenti originari sono stati ripuliti e rimessi in luce dove era possibile e dove non lo era sono stati livellati e ricoperti di una speciale vernice epossidica che crea un curioso effetto dal semiopaco al lucido brillante, a seconda degli additivi, della concentrazione e del numero di mani in cui viene applicata.
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La produzione dei vasi da conserva nacque dalla nuda esigenza del bisogno pratico, strettamente legato al lavoro contadino e all’economia domestica che ne derivava. Bisognava conservare il più a lungo possibile i prodotti della terra (vino, olio, olive, ortaggi, frutta) in vista di annate magre e lunghe carestie. Nacquero così i grandi contenitori rustici "zzirre e sèrole" per contenere olio, vino, aceto e acqua; le stoviglie “tièlle e chèvedère”, le suppellettili per la casa: boccali, vasi, giare, piatti, alzate, “vuchèle, ràste, giarre, cicene, fusine e pegnète”.
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I recipienti di terracotta vanno chiamati col loro nome in dialetto, perché non hanno nome in italiano tanto sono legati al luogo in cui sono nati per essere lì usati. Essi, creati dalla mano e dal linguaggio del popolo, hanno un carattere proprio e originale. Questa ceramica essenziale nella forma, ha origini plebee con l’orgoglio di tutto ciò che è vero e schietto.
Da sinistra, un orcio per olio con coperchio, un orcio senza coperchio, una giara, un vaso da parete liscio e una fragoliera da parete. |
Murature in pietra
I SASSI NON LAVORATI Negli agglomerati civili l’uso del sasso si è protratto dal medioevo sino alla metà dello scorso secolo, rivelandosi particolarmente diffuso quando, per problemi di reperibilità e di trasporto, poteva essere concorrenziale rispetto al laterizio. Tra i paramenti lapidei che la tradizione edilizia ci ha tramandato, quello in sassi non lavorati è certamente il più povero.
I SASSI SPACCATI I sassi venivano scelti nelle zone circostanti, curando di selezionare una pezzatura che, pur nella sua disomogeneità rientrasse in certi standard fissati, per le dimensioni più grandi, da problemi di trasporto. Di un livello superiore e di maggiore resistenza sono i muri eseguiti con sassi spaccati. In questo caso venivano scelte pietre venate, in modo che un colpo di mazza le potesse aprire a metà; tutte e due le parti venivano impiegate nel paramento, con una posa accurata, atta a ridurre gli interstizi ed ottenere un piano sufficientemente rettificato. La tecnica più diffusa per la costruzione degli edifici, generalmente non superiori ai due piani, consisteva nel creare muri a forte spessore, rastremati verso l’alto; in generale è dato osservare che lo spessore del muro alla base è di un decimo dell’altezza totale, e che si assottiglia in corrispondenza dei solai.
Muri di pietra e intonaco rustico, pavimento colorato
MURI VUOTI ALL’INTERNO Le dimensioni possenti di questi muri spesso traggono in inganno gli operatori che debbono programmare un intervento; non è raro infatti che siano vuoti al loro interno, oppure riempiti con materiale incoerente. Le ragioni di queste soluzioni vanno ricercate, oltre che nel risparmio di materiale, nella possibilità di distribuire il grande peso di questi riempimenti su un area maggiore; infatti sovente ci si meraviglia di come queste strutture siano prive di adeguate fondamenta. Quando queste ultime erano realizzate, venivano curate maggiormente rispetto al muro di elevazione; spesso era impiegata calce in abbondanza, scarsa nel resto della costruzione, se non addirittura assente. L’importante compito della ripartizione dei carichi attribuito alle fondazioni, determinava in alcuni casi l’esecuzione di alcune fila di mattoni sui quali procedere con la più povera muratura in sassi. Mentre la posa in opera dei mattoni segue schemi seriali, quella del sasso richiede una particolare attenzione per assemblare al meglio elementi di forme e dimensioni diverse.
TRAVI DI LEGNO INGLOBATE NEI MURI I sassi sono posizionati con cura in modo da ridurre al minimo l’impiego di calce, limitata ai soli punti di appoggio. Sovente venivano poste assi, od anc
he travi di legno inglobate nel muro, aventi funzione di piani di appoggio e per tenere legata la struttura, funzione ottenuta anche inframezzando uno o più filari di mattoni. Nel lavorare accanto a questi muri occorre fare molta attenzione nelle demolizioni o integrazioni parziali, in quanto i sassi sono solo appoggiati, e toglierne uno vuol dire interessare i circostanti. Dal Settecento ai nostri giorni il sasso perde la peculiarità di muratura povera, per assumere nell’edilizia civile un valore prevalentemente decorativo. Nei nostri centri a struttura medievale, si notano spesso case a schiera intonacate nel loro prospetto principale, rivolto verso la via larga, mentre nel prospetto sui vicoli stretti il sasso era lasciato a vista. La diversa destinazione del paramento deve essere rispettata: scoprire a vista i sassi precedentemente intonacati per conferire all’edificio un presunto aspetto di rusticità, è scorretto allo stesso modo che intonacare i sassi segnatamente a vista. È importante mantenere le murature in sasso superstiti, troppo spesso abbattute senza una precisa giustificazione, se non altro come testimonianze spesso pregevoli delle antiche tecniche costruttive e delle radici storiche alle quali siamo legati.
CUCI E SCUCI Per le integrazioni e il ripristino vanno impiegati in generale tecniche tradizionali di cuci e scuci; le carotature non sono realizzabili, le iniezioni di malta possono essere efficaci in muri non a secco e con cavità limitate.
Arredi tradizionali e opere d’arte contemporanea
L’arredamento è stato curato personalmente dai padroni di casa ed è una curiosa miscela tra pezzi della più pura tradizione rustica spagnola, anzi catalana, imbottiti modernamente classici e opere d’arte antica e contemporanea: lo vediamo nelle pagine precedenti, con gli archi bordati di mattoni sulle pareti in pietra che racchiudono delle ampie vetrinette per mettere in bella mostra collezioni di reperti d’antiquariato, in un angolo del grande soggiorno, o nella pagina accanto con una nicchia che ospita un’elegante scultura romanica di pietra, dietro i bianchi imbottiti posati su una base sempre di pietra, e accanto ad essi, affacciata sulla vetrata curva, un’enigmatica figura contemporanea in bronzo ossidato (di Cerdà); e ancora, alle pagine precedenti, nella sala al piano inferiore le cassapanche di noce scuro con le ante scolpite a rosone e le madie a volta che si staccano dalle pareti a intonaco grosso color panna e dal pavimento verniciato color vinaccia.
Anche nel soggiorno col camino (di linea arrotondata in legno scuro, pietra nera e ferro così da staccarsi dalla parete di pietra chiara) permane questo contrasto tra gli imbottiti moderni, il tavolino di cristallo sostenuto da un’intelaiatura di ferro grezzo e i mobili e le luci molto tradizionali sul pavimento verniciato in rosso scuro brillante, lo stesso colore che troviamo in sala da pranzo, ove però prevale il tutto tradizionale: il lungo mobile contenitore, le sedie, il tavolo, le luci sono tutti di impronta rustica catalana. Anche nelle camere la stessa impostazione: letti in ferro battuto ‘700 e un grande quadro contemporaneo.
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