Il mito del fuoco nel nuovo Millennio. La spettacolare cerimonia d’inaugurazione dei Giochi Olimpici, Sidney 2000. |
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Perché Camino vuol dire pietra Il camino, c’è poco da fare, evoca il senso della permanenza, della stabilità, della continuità nella storia. Riconduce all’epoca ancestrale, quando il fuoco era la tecnologia di punta dell’uomo nomade nella natura selvaggia. La fiamma sembra far rivivere quelle emozioni primordiali, sedimentate nell’animo, di cui occupano ancora tanta parte. Accostarsi a un camino vuol dire anche riprendere un poco la filogenesi biologica, culturale, ambientale dell’essere umano. Se il carico di storia che si fa presente tra i bagliori della fiamma spingesse il lettore, come è capitato a chi scrive, a voler risalire alle origini della parola (l’eziologia nasconde tanti segreti sull’essenza delle cose e schiude squarci di corposa verità sul mondo che ci circonda, e su noi stessi), egli compirebbe una piccola, sorprendente, piacevole scoperta. Il termine greco káminos (da cui deriva il latino caminus) è connesso (lo spiega il Gemoll, di buona memoria per chi ha fatto il classico) con il termine antico kameni, che vuol dire “pietra”. Ecco che si apre lo squarcio nella storia ancestrale, quella che solo l’archeologia e la filologia sanno esplorare – pur tra tante incertezze – alla ricerca di una verità remota ma cruciale, fondamentale, essenziale. Navigando in quel mondo fantastico affondato nell’antichità, si fanno presenti ai nostri occhi testimonianze che sembravano depositate nell’oblio, e riemergono con forza dirompente quando vengono ricollegate a un’idea viva e attiva. L’immagine – fantastichiamo – è quella dei nomadi che transitano nelle valli dell’Illiria e si spingono giù fino all’Attica, alla Ionia, alla Pieria, e verso il nord, dove stanno i Celti, gli Ungari, i Germani. Vagano coi loro armenti e la notte accendono il fuoco, fanno cerchio attorno a esso e confabulano al crepitio della fiamma: ragionano del percorso compiuto, del tempo, delle forze poderose e sovrumane che ravvisano nel sole, nelle nuvole, nella pioggia. Con voce grave il sacerdote interpreta i segni e preconizza il futuro. Gli occhi di tutti sono puntati sul fuoco… Ma dove brucia la fiamma? Sulla pietra, tra le pietre. Queste sono state collocate ad arte: non bruciano, sono l’antitesi del legno. Sono l’elemento con cui l’uomo controlla il fuoco. Noi immaginiamo l’età della pietra come quella in cui i nostri antenati hanno scelto un sasso, l’hanno modificato e ne hanno fatto un’arma per procacciarsi cibo e per difendersi. Ma, subito dopo, viene l’età in cui quella stessa pietra – elemento che non brucia – è stata usata per far scaturire e per domare la fiamma, per renderla così uno strumento usabile dalla mano umana. Senza pietra il fuoco sarebbe rimasto una delle forze indomabili della natura, come il vento, la tempesta, il terremoto… Dalla pietra nasce la scintilla che fa bruciare le foglie secche, e la pietra è lo strumento che delimita la fiamma e impedisce che incendi ciò che l’uomo non vuole che bruci. Ecco che l’accostamento tra fuoco e pietra è immediato e logico: l’antico kameni (pietra) si fa káminos nella più evoluta cultura greca, in cui il fuoco è già elemento addomesticato, cioè sottoposto al potere dell’essere umano, “usato nella casa”. E káminos vuol dire “stufa, forno, fornace”: la pietra su cui posava il fuoco, nella casa. Le antiche abitazioni avevano coperture lignee, l’angolo dove veniva collocato il focolare doveva essere studiato in modo tale da evitare il più possibile gli incendi. Ecco che il binomio pietra-fuoco resta indissolubile. La casa può essere tutta di legno, ma il camino dev’essere di pietra. E diventa sempre più complesso: sopra il focolare un condotto deve convogliare i fumi e il calore così da evitare che il tetto si incendi: la canna fumaria dev’essere essa stessa di pietra. Abbiamo già parlato (cfr. Il Camino,n.80/2000) dei camini nelle case degli antichi Reti. Ma è evidente che nelle case degli antichi Romani e degli antichi Celti dev’essere identica la soluzione: lo stesso vale per qualsiasi popolo antico che abbia lasciato la vita nomade e abbia “messo su casa”. La canna fumaria, il camino, diventa il “cammino” delle fiamme e del fumo. La vicinanza dei due termini “camino” e “cammino” testimonia la vicinanza dei due concetti. Ma il verbo “camminare”, di origine celtica, da dove viene? Non viene forse dallo stesso kameni, dalle pietre che venivano posate per segnare il cammino, per facilitare il passo, per misurare le distanze del percorso? Quando il termine latino camminus significa “cammino”, “strada”, “percorso”, si riferisce a un procedere sulle pietre di cui è lastricata la via. E per camino si intende ancora il cammino (con due “emme”) in tutti i trattati di camminologia, fino alla metà dell’800. Il fascino di questa parola che percorre tremila anni di storia senza trasformarsi più di tanto, ci dà un senso di sicurezza, di stabilità, di solidità, che è il primo principio su cui si fonda la famiglia: la casa. È sulla pietra che è fondato il fuoco: l’elemento più etereo, quello che conduce verso l’alto, verso il cielo, violando le regole della forza di gravità che attira tutto verso il basso. Non solo nell’antichità: anche oggi, in Giappone, dove molte case ancora sono costruite in legno (lo spiega Tanizaki nel suo trattato sulla casa giapponese), sul pavimento della sala viene lasciato aperto un quadrato; lì, in posizione ribassata, è posta la pietra su cui si accende il fuoco per la cerimonia del tè. Ancora: casa, fuoco, rito. Il tutto sulla pietra, come nell’antichità. Il camino è pietra, è fondamento, è cuore della casa: quella casa che è “oikos”, cioè ambiente, il primo ambiente per eccellenza, il luogo di vita primordiale, essenziale: quello della famiglia. Guardiamo alle origini e scopriremo l’essenzialità della vita. E troveremo che in questa essenzialità il káminos è centrale, fondante, ineludibile. Solido come la pietra. Giuseppe Maria Jonghi Lavarini
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