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Architettura e Arte hanno, entrambe, a che fare con il termine progetto; 1 entrambe sono sostenute da una intenzionalità proiettiva che manipola la ‘rappresentazione’ del reale, ed è proprio per sottolineare questa particolare relazione con la realtà che facciamo intervenire il termine ‘immaginazione’. Abbiamo sufficienti ragioni, oggi, per interrogarci sulle nostre facoltà immaginative, in un momento in cui nel nostro universo di artefatti architettonici, sono comparse, con crescente frequenza, strane apparizioni, che hanno scosso le nostre abitudini e le nostre attese percettive; quasi un’ altra faunalontana da ogni riferimento stabile, certo, consolidato rispetto a ciò che abbiamo chiamato architettura o sperimentato come città.2 Mi riferisco a diverse e ormai numerose esperienze accomunate Troppe immagini, poca immaginazione? La mia convinzione è che difficilmente potremo assumere qualche criterio di confronto con queste e con le altre esperienze di produzione formale della contemporaneità, se restiamo al livello dell’immagine e non riconsideriamo l’immaginazionee il suo significato sociale.4 Per tutta la seconda metà del Novecento (il secondo lungo dopoguerra)
Il progetto interpreta e decodifica la realtà sociale attraverso le rappresentazioni simboliche, le rielabora, le consolida e le trasforma: opera costantemente sul limite, fra congruenza e incongruenza, fra utopia e ideologia, dove si colloca la frontiera della libertà e dove si gioca la battaglia più importante. E dunque, da un lato concordo con Marco Romano che invita a non essere incolti, superficiali o stupidi nel manovrare la grande eredità simbolica delle immaginazioni collettive che hanno reso possibile la città e l’architettura. I margini di invenzione, ha detto Marco, sono modesti. Io non concordo sulla loro ‘modestia’; sono molto complicati ma importanti: il progetto ha sempre il compito di esplorare l’incongruenza
È l’arte che frequenta più gli scantinati che gli archivi e i magazzini; è l’arte che addomestica l’ircocervo, le arpie e gli unicorni, rendendoci domestiche e comprensibili anche le nostre rimozioni, dando corpo alle nostre recondite aspirazioni di libertà. Questo orizzonte immaginativo era ben presentein Louis Kahn: amo iniziare, diceva, perché è all’inizio del progetto che ci sono le vere domande, del perché e del che cosa è. Molti progetti di oggi non mi sembra che inizino, ma assurdamente si complicano in sempre più raffinate elaborazioni di figure, quasi che l’obiettivo fosse la libertà dell’immagine e non quella, assai più significativa, dell’immaginazione; presente in Aldo Rossi, la cui opera, teorica e pratica, è tutta una profonda riflessione sull’immaginazione. Se devo parlare dell’architettura oggi, della mia o di quella di altri, ritengo sia importante illuminare i fili che riconducono la fantasia alla realtà e l’una e l’altra alla libertà … E io credo alla capacità dell’immaginazione come cosa concreta, concetti che esprime, in forma metaforica, con la città analoga. È a commento di questa tavola che specifica, infatti, il suo ammonimento: immaginazione nelreale, non immaginazione delreale. Questo è il vero discrimine: alle volte si pensa di poter acquistare maggiore libertà immaginativa rifiutando il fardello che la realtà sociale e la cultura ci impongono; e allora si cade vittime di astratte utopie o di pretese ideologiche o di altri padroni; il vero problema è star dentro, dentro la realtà sociale, dentro la cultura, dentro l’architettura, dentro la città, esplorando in questa internità tutte le possibili libertà. E in questa battaglia arte e architettura non solo sono alleate, ma comprovano e rafforzano la loro radice comune. 1. Mestieri progettanti sono stati definiti da Pippo Corra nel suo intervento al Seminario (Arte Architettura, Camerino 2005).
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