I confini dell’ambiente


PARETI E SOFFITTI SONO IL CONFINE VISIVO E TATTILE DEL NOSTRO AMBIENTE DOMESTICO, SONO IL PAESAGGIO MATERICO CHE CI CIRCONDA OGNI GIORNO, SONO LA PROTEZIONE CHE CI AVVOLGE: È OPPORTUNO DUNQUE SCEGLIERE LE SOLUZIONI CHE MEGLIO RISPONDONO AI NOSTRI GUSTI E ALLE NOSTRE ESIGENZE

La definizione dell’involucro murario dell’ambiente della nostra casa è affidata in prevalenza, sia visivamente sia tecnicamente (insieme ai pavimenti) alle pareti e ai soffitti: questi sono gli elementi che definiscono lo spazio intorno a noi e che nello stesso tempo possono trasmettere esteticamente ogni emozione correlata al nostro ambiente ma anche risolvere al meglio la tecnica di ogni superficie.
– Funzionalmente, pareti e soffitti devono assicurare allo stesso tempo la traspirazione dalla parete verso l’interno (per toglierle gli eccessi d’umidità che potrebbero rovinarla) e anche verso l’esterno (se vi comunica), per lo stesso motivo, e
dall’ambiente verso la superficie muraria (per regolare il livello necessario d’umidità ambientale, sempre considerando che livelli ingenti d’umidità devono essere smaltiti attraverso sistemi di aerazione naturale
o forzata).

– Esteticamente le superfici devono garantire l’effetto che vogliamo conferire all’ambiente sia con la trama superficiale, più o meno in rilievo o perfettamente liscia, sia con i colori e la loro stesura, da uniforme a variegata, a seconda dello strumento e della tecnica che si usa.
– Da qualche tempo a questa parte, stanno tornando in auge i materiali naturali e le tecniche antiche che ripropongono soluzioni più funzionali ed esteticamente molto valide, perfette per le case d’epoca, mentre si stanno abbandonando
le tecniche più moderne che in un certo senso alterano (o comunque non rispettano fino in fondo) l’ambiente delle case di un tempo.
Oppure si aggiornano con le tecnologie d’oggi soluzioni tradizionali difficilmente praticabili o troppo costose, col vantaggio di migliorare anche le prestazioni.
– Tra i primi possiamo citare la calce, insuperabile per ricostruire l’atmosfera dei vecchi muri e superiore in assoluto per traspirabilità, o i soffitti di incannucciato, una soluzione d’epoca che però oggi può dare ancora i suoi bei frutti; tra le seconde, le tecniche di restauro sempre più perfezionate e la riscoperta di antiche lavorazioni, di cui si era persa ogni traccia, come l’intonaco al bergamotto.

IL VALORE DELLA TRADIZIONE

Tecton raccoglie la preziosa eredità della storia pluriennale della Cooperativa Reggiana pittori, sorta nel lontano 1890. La qualità degli interventi di Tecton si fonda su un patrimonio di conoscenze unico e sulla perizia di maestranze esperte e motivate.
Gli interventi di conservazione e ristrutturazione di edifici storici richiedono un approccio metodologico complesso, che non può prescindere da una accurata raccolta di informazioni preliminari: innanzitutto, notizie storiche ed archivistiche per ricostruire le fasi edilizie, spesso complesse, succedutesi nel tempo e poi indagini diagnostiche e di laboratorio necessarie alla precisa determinazione dei materiali originali utilizzati ed allo stato di conservazione delle strutture e degli apparati decorativi.
In tutte queste fasi, Tecton può avvalersi delle collaborazioni di prestigiosi istituti di diagnostica e di ricerca nazionali ed esteri.
Le successive operazioni di intervento conservativo e di restauro vengono condotte da Tecton secondo le regole della tradizione artigiana locale e con l’ausilio di manodopera interna specializzata.

NUOVO E ANTICO: L’INCANNUCCIATO

L’incannucciato era un’antica tecnica per realizzare con canne e gesso soffitti e controsoffitti isolanti, fonoassorbenti, resistenti e flessibili nello stesso tempo, adatti sia per dimore aristocratiche come per umili case contadine, data l’abbondanza della materia prima (i canneti sono ovunque diffusi). Purtroppo, dalla metà del secolo scorso tale tecnica
era stata abbandonata, sia perché se ne era persa la manualità sia perché erroneamente ritenuta troppo “contadina”.
Oggi l’esigenza di materiali più naturali e lo sviluppo della bioedilizia hanno portato alla riscoperta dell’incannucciato:
il merito è dei fratelli Spadaro che l’hanno riproposto in forma nuova, quella del pannello da montare semplicemente in
opera, ovviando così a tutti i problemi della manualità scomparsa.

Il pannello Isocann è costituito da uno strato di canne portanti, da uno di canne di ripartizione e da un multistrato di legno (in alternativa un pannello di gesso) con tessuto non tessuto, per uno spessore complessivo di 6,5 cm; è facilmente lavorabile, è molto flessibile, è totalmente naturale e non inquinante in ogni fase di produzione, montaggio e smaltimento, è perfettamente traspirante, ha costi di manutenzione pressoché nulli, ha caratteristiche di isolamento sia termico sia acustico superiori a quelli di altri materiali analoghi, si monta facilmente sulle travi portanti di copertura con la tecnica maschio-femmina, ha un aspetto estetico di grande impatto che lo fa preferire alle altre soluzioni.

LA “NUOVA CALCE STORICA DI PALIZZI” E L’“INTONACO AL BERGAMOTTO”

Un programma di ricerca per lo sviluppo del territorio

Il LaboReg opera da tempo nel campo della ricerca scientifica trasferendone i risultati nel territorio con il preciso scopo di stimolare lo sviluppo economico nel settore dei materiali “comandati” dai progetti di conservazione. Alcuni risultati dell’attività di ricerca del LaboReg sono approdati quest’anno alla XVa edizione del Salone dell’arte, del restauro e della conservazione dei beni culturali e ambientali di Ferrara. La sinergia creata tra mondo universitario, pubblica amministrazione (Comune di Palizzi (RC) e imprese (F.lli Spadaro di Rosolini e Impresa Mesiano di Palizzi) si è concretizzata con la prototipazione di una nuova calce naturale prodotta con materie prime reperite localmente e con processi di cottura tradizionali. Il prodotto ottenuto è stato sottoposto a un primo test (eseguito presso il Laboratorio M.A.RE. del Dipartimento PAU: responsabile Scientifico Prof.ssa Simonetta Valtieri, coordinatore attività di ricerca della sezione chimica e tecnologia Prof. Letterio Mavilia) per verificarne la conformità alla norma UNI EN 459-1:2002, il cui esito ha confermato che esso è classificabile in accordo alla normativa, come grassello di calce calcida (CL90). La sperimentazione ha, inoltre, condotto alla prototipazione di un “intonaco al bergamotto”, realizzato in laboratorio con un procedimento ancora in fase di osservazione. Il nuovo intonaco è stato utilizzato in un cantiere-scuola aperto nel Comune di Bova Marina (RC), per verificare il riscontro reale delle prestazioni dello stesso e monitorarne il comportamento in ambiente naturale. (1)

Calcara sita in località S. Onofrio, Palizzi

Il monitoraggio dei potenziali siti di approvvigionamento

Il monitoraggio è stato effettuato lungo il versante jonico meridionale reggino (la cosiddetta area della Locride), circoscritto a una fascia larga circa 5 km dalla linea di costa, che abbraccia zone collinari fino ai 600 m s.l.m. e solo in rari casi, addentrandosi nell’entroterra, raggiunge quote più elevate. Sono state visitate oltre 40 località facenti parte di 13 territori comunali e sono stati prelevati 47 campioni. I materiali raccolti sono stati catalogati in schede appositamente predisposte, strutturate in sei parti, ognuna delle quali riporta una sigla di riferimento, la litologia a cui il campione appartiene e la località in cui è stato prelevato. (2)

La geografia delle calcare nel territorio provinciale di Reggio Calabria

La produzione di calce è antica quanto è antica l’arte del costruire con l’ausilio di malte. Ciò rende impossibile delineare un quadro sintetico dei metodi di produzione della calce che hanno assunto strutture e caratteristiche diverse da regione a regione, pur essendo utilizzati similari sistemi di funzionamento. Da un’analisi diretta sul territorio della provincia di Reggio Calabria, supportata da un’analisi storico-documentaria delle fonti , si può affermare che anche il territorio del Reggino è ricco di esempi di “architettura del lavoro” o di un’“architettura di produzione” che a tutt’oggi lo rendono un territorio caratteristico per le diverse testimonianze storiche relative ai processi di produzione della calce: le calcare. Il sistema di produzione relativo alle calcare, presenti nella provincia di Reggio Calabria, già noto ai Romani, vedeva nella costruzione di una fornace, dalla forma tronco-piramidale, una evoluzione dei metodi di cottura che utilizzavano semplici accatastamenti di pietre da cuocere, al di sotto delle quali si trovava la fossa di alimentazione. Questa tipologia di calcara, che migliorava la produzione riducendo la dispersione di calore, aumentando il quantitativo di “pietra da cuocere” e ottimizzando i tempi, è l’esempio di quella geografia di calcare che si estende su tutto il territorio provinciale e che vede, soprattutto, nella pietra calcarea di Palizzi la materia prima da impiegare
nel processo di produzione della calce.

Il LaboReg

E’ il Laboratorio Regionale di Ricerca Scientifica applicata ai centri storici per il trasferimento tecnologico e la sperimentazione di materiali costruttivi locali. È attivo presso il Dipartimento PAU (Patrimonio Architettonico e Urbanistico) dell’Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria e ha l’obiettivo di trasferire al territorio, attraverso concrete applicazioni, le conoscenze e i risultati scientifici ottenuti
in laboratorio. Le attività di ricerca svolte presso il LaboReg sono principalmente orientate alla conoscenza dello stato delle attività estrattive presenti sul territorio regionale con l’obiettivo di promuovere e realizzare la filiera del settore dei materiali per il recupero edilizio con marchio regionale, attraverso il coinvolgimento di PMI.
Responsabile Scientifico: prof. Edoardo Mollica, Ordinario di Valutazione Economica Coordinatrice delle attività di ricerca: arch. Antonella Postorino

Da sx A. Postorino, L. Messina, M. Gullì, E. Mollica, A. Bianco, S. Vecchio Ruggeri

Soltanto nel territorio di Palizzi sono state censite dieci calcare, attive circa fino agli anni ’40 del secolo scorso, che approvvigionavano l’intero comprensorio per la costruzione e/o restauro degli edifici storici. L’intera attività di produzione, tuttavia, subì un declino con l’avvento del cemento, il cui uso-abuso nell’edilizia, sia moderna che storica, portò a un repentino arresto della produzione. Ciò che rimane, nei nostri territori, non sono altro che esempi di una fervida produzione, di un’architettura al servizio di una attività economica che utilizzava risorse locali (i calcari di Palizzi e gli affioramenti lungo l’intera costa ionica del Reggino) come elementi idonei all’autoctono
costruito, compatibili per caratteristiche chimico-fisiche e cromatiche ai leganti storici che venivano impiegati storicamente per l’edificazione dei centri storici delle aree interne. Il progetto di ricerca, sviluppato con il know how dei
ricercatori del Dipartimento PAU, coniugato con il “saper pratico” della Ditta F.lli Spadaro, vuole, pertanto, creare un’inversione di tendenza che possa riscontrarsi non solo nel recupero strutturale di un’antica calcara nel territorio di Palizzi, ma possa essere il tassello di un programmato processo di recupero delle “tradizioni del costruire” che vede nell’impiego dei materiali locali quel valore aggiunto creato dai progetti di conservazione del patrimonio storico costruito.
(3)

Calcara sita in località Bova Marina

Il cantiere sperimentale di Bova Marina

Il programma di ricerca ha avuto una prima applicazione sperimentale su un edificio rurale in muratura di Bova Marina (RC), in cattivo stato conservativo. Sul quale sono stati eseguiti interventi di restauro strutturale, tra cui la realizzazione delle sottofondazioni con l’uso del grassello di Palizzi nella realizzazione di una malta, utilizzata per rivestire il filo del muro al piede della fondazione ove andava ad apporsi il cordolo armato; in tal modo si evitava il diretto contatto tra la muratura e il cordolo, impedendo problemi di ponti termici, risalita capillare, incompatibilità termoigrometrica; la costruzione di un cordolo in muratura armata (ove si è sperimentata una sorta di cresta muraria con mantellina a bauletto raso, che ha consentito un rispetto integrale delle geometrie delle sommità murarie, senza prevedere rettificazioni, altrimenti necessarie per permettere la corretta posa in piano del cordolo in muratura); la sarcitura di lesioni (ove era necessario l’utilizzo di una malta a basso ritiro, come quella confezionata con il grassello di Palizzi, perché solo garantendo una reale connessione e un effettivo attrito tra le parti preesistenti e gli elementi di integrazione, si poteva garantire quella continuità che consente la riabilitazione del pannello murario in termini di continuità e quindi di capacità nella trasmissione delle azioni).

L’edificio prima e dopo l’intervento

Infine, sono state effettuate opere di conservazione e risanamento, tra cui in primo luogo il rifacimento degli intonaci; è stato quindi confezionato un intonaco esterno, utilizzato al piede dell’edificio fino ad 1 m di altezza, realizzato con il grassello di Palizzi e additivato con cocciopesto, così da divenire deumidificante e traspirante; ed un intonaco interno, realizzato sempre con il grassello di Palizzi, ma additivato con gli scarti della lavorazione del bergamotto; materiale questo che la tradizione orale del luogo riporta nel confezionamento delle malte, ma di cui non vi è testimonianza materiale o documentaria. Il bergamotto ha conferito all’intonaco un’ottima risposta in termini di lavorabilità, stendibilità, densità e coesione; ciò è determinato dal fatto che la presenza di una matrice a forte tenore di umidità ha determinato tempi di presa e asciugatura lenti, così da produrre un intonaco privo di difetti e fessurazioni, molto elastico, liscio e ben aderente, oltre che esteticamente caldo, dorato, cangiante. La lunga e complessa sperimentazione, svolta presso il cantiere di restauro di Bova Marina, ha evidenziato la ricchezza e la bontà delle caratteristiche tecnologiche e comportamentali del grassello di calce di Palizzi, anche unitamente ai derivati del bergamotto, soprattutto se si tiene conto della varietà delle applicazioni che la ricerca ha portato a sperimentare per questo materiale, ottenendo delle prestazioni generalmente omologhe e talvolta migliori rispetto ai prodotti naturali oggi disponibili sul mercato del restauro conservativo e della bioarchitettura. (4) Antonella Postorino (architetto, dottore di ricerca in conservazione dei B.B.A.A., assegnista di ricerca, ricercatore a contratto) (1), Alessia Bianco (conservatore, dottore di ricerca in conservazione dei beni architettonici) (4) , Laura Messina (architetto, dottore di ricerca in conservazione dei B.B.A.A., collaboratore a contratto) (2), Sabrina Vecchio Ruggeri (conservatore, dottore di ricerca in conservazione dei B.B.A.A., assegnista) (3)

 

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