L’ARCHITETTURA SACRA TRA LE DUE GUERRE FINO AL CONCILIO VATICANO II

CHIESAOGGI ISSN 1125-1360 vol.105
DOI: 10.13140/RG.2.2.23035.62249

ABETI Maurizio (IT)

Abstract
Dagli anni immediatamente successivi alla Prima Guerra Mondiale al 1960, il Movimento Moderno, ancestralmente “laico”, pur sentendo la necessità di una ricostruzione, relegò l’architettura sacra ad un ruolo secondario, di mera marginalità.
Nel suo fare architettonico si impegno a risolvere solamente i problemi posti dalla civiltà industriale ed in particolare il problema della casa; nella sua ricerca espresse sempre, che la sua “modernità”, composta da un linguaggio totalmente formale, che tradusse l’intero suo processo in principi base: tipologie, norme, regole lessicali e sintattiche e annullando ogni elemento decorativo e figurativo come fonte espressiva dell’architettura, potesse essere un suo stile tipologico.
Gli architetti, privi dei contenuti veri che sono alla base di qualunque opera sacra, nell’assoluto silenzio-distacco della chiesa, si manifestarono, cercando, con progetti al quanto ardimentosi, di sorprendere con le loro strutture, pensando che questo fosse sinonimo di spiritualità, come se la spiritualità si misurasse con lo stupore, la bizzarria, le altezze vertiginose.
L’architettura religiosa, pur registrando la presenza di architetti attenti e sensibili al suo problema e alle sue forme di partecipazione liturgica, quindi, si soffermò alla pura dimensione stilistica dello spazio senza contemplare la valenza escatologica, simbolica e semantica che esso possiede e veicola.

A causa delle due ultime guerre mondiali, molte chiese locali furono distrutte dai continui bombardamenti, ad eccezione, per quanto riguarda il secondo conflitto mondiale, degli edifici sacri più importanti lasciati in eredità dal periodo precedente.
Quindi alla fine del trascorso bellico si sentì l’esigenza di ricostruire nuovi edifici religiosi, non solo in città, ma anche nelle vecchie periferie, ora nuove zone abitate da quei contadini che decisero di emigrare dalla campagna per prestare il loro lavoro nelle industrie.
Contemporaneamente la comparsa di nuovi sistemi di comunicazione, l’avvento della televisione, la diffusione della moda, dei moderni costumi di vita, coinvolsero le varie classi sociali a sperimentare un nuovo modo di vivere sostenuto da differenti forme di collettivismo, di realismo e di modernizzazione, quest’ultima legata al valore estetico e al piacere.

1/2.Auguste Perret ,veduta esterna ed interna chiesa Sainte-Théresè a Montmagny, presso Parigi nel 1925, ©fr.wikipedia.org).

Questo nuovo atteggiamento “ideologico” ravvivò anche il settore della ricerca progettuale. Pertanto i nuovi sistemi di costruzione portarono l’architettura ad adeguarsi alla struttura del cemento armato, quando la composizione architettonica richiedeva funzionalità e movimenti spaziali impossibili per le pietre tradizionali, e del vetro. Anche la crisi finanziaria influenzò questo nuovo modo di progettare. Infatti, nella progettazione furono abbandonate le monumentali e costose chiese neogotiche e neoclassiche attraverso il recupero di una semplificazione strutturale e spaziale.
Tra il 1930 e il 1960 la composizione architettonica è caratterizzata, in primis dalla rinuncia all’imitazione di stili antichi, poi da forme geometriche e stereometriche elementari, da volumi semplici e armonici, ricchi di luce e sobrietà e infine da strutture portanti minime. Ma ciò che diventa regola incondizionata in questo periodo è la razionalità
per cui vengono legittimate le soluzioni pratiche, efficienti e funzionali che appagano certamente i moti dello spirito, ma evidenziano anche una certa austerità e aridità.
Anche le risorse economiche, oltre gli aspetti suindicati, indussero in Francia Auguste Perret (1874 – 1954) ad impiegare il cemento armato, il quale permetteva una veloce esecuzione, una economicità dei costi e
‹‹consentiva audaci soluzioni tecniche con travi, archi anche di portata fino ad allora inimmaginabili››[1]. Incrementò l’ingegno strutturalistico dell’architettura francese dell’Ottocento, legittimando il cemento armato in senso qualificativo e nei termini dei caratteri invarianti del protorazionalismo.
Con rievocazioni gotiche A. Perret realizzò nel 1923, presso Parigi, Notre Dame du Raincy con la sua torre alta 145 piedi, e relizzata per commemorare coloro che sono caduti nella prima guerra mondiale; e Sainte-Théresè a Montmagny nel 1925, le quali dimostrano perché Le Corbusier sia valutato da molti allievi di questo caposcuola [2]. Entrambe furono qualificate come modello della chiesa moderna.
In Svizzera Karl Moser (1860 – 1936), precursore del Movimento Moderno del suo paese, realizza nel 1926-1927 a Basilea la chiesa di S. Antonio, la quale presenta le stesse influenze spaziali di Perret.
Bruno Zevi dirà:‹‹Variano i materiali, ma non muta il simbolismo degli impianti spaziali,…››[3].

3/5. Karl Moser, pianta, sezione longitudinale e vista interna della chiesa Sant’Antonio, Basilea del 1926 -1927.

Un importante architetto sloveno (nato a Gradisce-Lubiana, ex Jugoslavia, odierna Slovenia) che svolse un’interessante attività nel campo della progettazione di chiese è Josef Plecnick (1872 – 1957). Secessionista, seguace di Otto Wagner (1841 – 1918), fu elogiato per la sua fermezza compositiva e per la sua fascinosa tecnica da Loos e stimato da Le Corbusier. Ricordiamo la sua chiesa dello Spirito Santo a Vienna del 1910 – 1912, realizzata con una struttura in cemento armato (uno dei primi edifici-ecclesiastici di questo genere nell’area mitteleuropea).

6. Jože Plečnik, chiesa dello Spirito Santo a Vienna del 1910-1912.

Ancora in Francia, Charles-Eduard Janneret detto Le Corbusier (1887 – 1965) – la personalità creativa di questo grande artista internazionale è tracciata da Bruno Zevi: ‹‹Le Corbusier resta un parametro insostituibile, pregno di valenze largamente utilizzabili, della cultura urbanistica e architettonica contemporanea››[4]. Con la cappella di Notre Dame du Hunt a Ronchamp del 1950 – 1953 realizza una delle sue composizioni architettoniche più originali. L’opera nasce da un più intimo rapporto con l’ambiente naturale circostante che condiziona il sistema compositivo con ‹‹uno spazio che non va oltre un panteismo naturalistico››[5].
‹‹La complessa configurazione dell’edificio nasce dunque dal duplice impegno di racchiudere un ambiente e di creare un fondale degno delle cerimonie all’aperto››[6].
Un ambiente religioso dove non si crea una fusione tra rappresentazione architettonica e simbolismo liturgico, confinando proprio quest’ultimo ad un ruolo irrilevante. Il critico Giulio Carlo Argan di questa chiesa scrive:
‹‹L’errore di Le Corbusier è di aver simulato una fede che non ha››[7].

7/8. Le Corbusier, chiesa dello cappella di Notre Dame du Hunta Ronchamp del 1950.

Sempre in Francia, Henri-Emile Benoit Matisse, pur non essendo un architetto, ma certamente un artefice magico, progetta e realizza nel 1948 – 1949 la cappella del Rosario a Vince, consacrata tra il 1949 – 1951, per i Domenicani. Di quest’opera ne studia sia l’aspetto architettonico che il design: la vetrata dell’altare della vita, la finestra, il blu chiaro dell’abside, l’altare con Cristo in bronzo e ceramica consacrato a San Domenico.

9. H. E. B. Matisse, la cappella del Rosario a Vence del 1948-1949.

Considerando l’esperienza dell’architettura sacra negli Stati Uniti, ci corre l’obbligo annotare il contributo di uno degli architetti più originali e geniali che vanti l’architettura moderna: Frank Lloyd Wright (1887 – 1959). Cresciuto in una cultura americana, dove vive, secondo tradizione, un pensiero organico, elabora l’architettura in maniera più “sensibile” e “umana” del grande Le Corbusier. Infatti, ‹‹il suo messaggio post-funzionalista è l’umanizzazione dell’architettura››[8] .
La sua ricerca architettonica e quella dei suoi allievi rientra nella corrente spaziale dell’architettura moderna definita Movimento Organico – per “organico” s’intende quell’atteggiamento compositivo che riporta la spazialità della costruzione a non essere bloccata, razionale e statica, ma a svilupparsi dinamicamente, adattandosi e modificandosi anche secondo le caratteristiche del luogo -.
Nelle sue elaborazioni religiose si collocano il Tempio Unitario a Oak Park, Illinois, del 1906 – edificio simmetrico, geometrico ed elementare, ma non classico – e la chiesa Unitaria a Madison, Wisconsin, del 1951, che è costituita da uno spazio in movimento, rappresentante la negazione delle forme volumetriche elementari.

10/11. F.L.Wright,veduta esterna del Tempio Unitario a Oak Park, Illinois, del 1906 e veduta esterna della chiesa Unitaria a Madison, Wisconsin, del 1951.

In America, sempre nel campo dell’architettura religiosa, ricordiamo l’opera dell’austriaco Richard Josepf Neutra (1892 – 1970) che, emigrato nel 1923, fu uno dei pionieri del Razionalismo organico americano. Allievo di Otto Wagner, Adolf Loos (1870 – 1933) e di Erich Mendelsohn in Europa (1887 – 1953) e di Frank Lloyd Wright in America, svolse un’attività di architetto europeo in circostanze americane economicamente favorevoli[9].
Nel suo repertorio citiamo la chiesa , elaborata con Robert E. Alexander, della Naval Air Station di La Jolla, California, chiamata Miramar Chapel del 1958. La composizione architettonica di quest’edificio-chiesa mira a realizzare – come affermava Neutra – uno spazio liturgicamente efficace e significativo; uno spazio capace di conferire al fedele un senso di concentrazione e progressione spirituale in direzione dell’altare, che, colpito delicatamente dalla luce del tetto trasparente (il solaio che vela il tetto non giunge fin sopra l’altare), diviene l’elemento focale principale.

12/13. R. J. Neutra, veduta esterna e pianta della della Naval Air Station di La Jolla, California, chiamata Miramar Chapel del 1957.

In Finlandia troviamo un altro interprete di luoghi di culto: Hugo Alvar Henrik Aalto (1898 – 1976). Maestro del gusto, dei materiali (legno, laterizio e rame) e della cura dei dettagli, fu tra i più vivi talenti del Nord Europa e del Movimento Moderno. Assertore dell’architettura organica, contribuì, non solo in Finlandia – ‹‹La Finlandia è dovunque Aalto vada – ha scritto il critico S. Giedion -. Essa e l’intima fonte di energia che scorre sempre nelle sue opere. Come la Spagna per Picasso….››[10] – ma a livello internazionale, ad evolvere, dall’ottica psicologica e della sensibilità umana, la nuova corrente architettonica.
La sintesi progettuale sacra, del suo pensiero – anticonformista -, è riscontrabile nella chiesa a Vuoksenniska, presso Imatra, del 1956-1958. Un’opera dalle forme architettoniche lineari, chiare, palesi, che manifestano il suo fare architettonico finalizzato alla ‹‹tecnologia della fruizione››[11] .
La rappresentazione progressista del significato sobrio e semplice del suo invaso spaziale – gioco di luci, pareti bianche, spazio divisibile in tre parti tramite pannelli mobili a scomparsa – è finalizzata a non declassare il ruolo liturgico dell’ambiente religioso.

14/15. H. A. H. Aalto, veduta esterna e pianta (© Flickr.com) della chiesa a Vuoksenniska, presso Imatra,del 1956-1958.

In Spagna, soprattutto a Barcellona, operò Antonio Gaudì (1852 – 1926), uno degli esponenti più ingegnosi e brillanti dell’architettura moderna. Il suo lavoro, segnato nel linguaggio come opera di fusione da elementi dell’arte mudéjar spagnola, del barocco, del revival neogotico, dell’espressionismo e del surrealismo, è ricco di caratteri significativi, simbolici e geniali. La sua opera emblematica ed incompiuta – morì all’età di 74 anni investito da un tram – resta il tempio della “Sagrada Familia” a Barcellona, iniziata nel 1883.
In quanto uomo religioso, durante la realizzazione, si impegnò a studiare sia la spazialità dell’architettura sacra che la celebrazione liturgica della Santa Messa.
La caratteristica dominante del sistema compositivo di quest’architettura religiosa è il suo valore simbolico. L’artista pensava all’edificio-chiesa non solo come la “domus ecclesiae”, casa dell’assemblea, ma come una testimonianza in “pietra”, silenziosa ma efficace, di opera catechetica e di redenzione, le sue facciate ne sono un esempio.

17. A. Gaudì, veduta esterna (© it.wikipedia.org) della chiesa Sagrada Familia” a Barcellona, iniziata nel 1883.

In Olanda, un discorso a parte, in questa analisi della produzione sacra di quest’epoca, merita Aldo van Eyck (Driebergen, 1918), figura talentosa della cosiddetta “terza epoca” olandese dopo gli esponenti del Movimento Neoplastico Jacobus Johannes Pieter Oud (1890 – 1963) e Gerrit Thomas Rietveld (1888 – 1964).
Aldo van Eyck, esponente rappresentativo del Movimento Moderno, organizzatore – con il gruppo denominato Team X – del decimo congresso CIAM, Dubrovnick 1956, progetta nel 1960-62 la chiesa (protestante) del suo paese. Lo schema tipologico di quest’edificio-religioso è composto da uno spazio singolo caratterizzato da quattro centri in diretta comunicazione fra di loro. Il “posto” della celebrazione del rito è posizionato al centro delle diagonali di questi centri aperti – ipotetico centro dello spazio di culto -, dando in questo modo ai praticanti, seduti in questi invasi circolari, la possibilità di assistere al rito liturgico e di vivere lo spazio in maniera differente.
La copertura, elemento caratteristico di questa costruzione, da cui deriva anche il nome della chiesa: ‹‹The wheels of heaven››, le ruote del cielo, è realizzata da quattro lucernai poggianti su un sistema di travi in cemento che i pilastri a forma di colonne sostengono. Questi lucernai, che permettono ai fedeli di essere in collegamento diretto col cielo e con la luce naturale, in quanto le pareti laterali sono totalmente chiuse, diventano strumento partecipe del dinamismo della Chiesa. Coperture a vetrate capaci, in accordo con l’emozione religiosa dei credenti e con la melodia del rito liturgico, di creare l’atmosfera spirituale ideale per un edificio-chiesa.

18/19. A. van Eyck, schizzo e plastico della chiesa protestante ‹‹The wheels of heaven››, le ruote del cielo.

L’Italia rimase confusamente bloccata nei confronti dell’architettura sacra “moderna”. Il Santo Padre Pio XI affermava: ‹‹che tale arte non sia ammessa nelle nostre chiese e molto più che mai non sia chiamata a costruirle, a trasformarle, a decorarle; pur spalancando tutte le porte e dando il più schietto benvenuto ad ogni buono e progressivo sviluppo delle buone e venerande tradizioni, che in tanti secoli di vita cristiana, in tanta diversità di ambienti e di condizioni sociali ed etniche, hanno dato tanta prova di inesauribile capacità di ispirare nuove e belle forme, quante volte vennero interrogate e studiate e coltivate al duplice lume del genio e della fede ››.
In seguito al temperamento e alla grande cultura del cardinale Giovanni Battista Montini (futuro Papa Paolo VI) si ebbe un’apertura verso queste “ nuove tendenze innovatrici” dell’arte religiosa.
L’architettura delle chiese cominciò una ricerca progettuale con risultati che, però, denunciano una perplessità legata alla valenza simbolica, significativa e comunicativa degli spazi e in generale dell’oggetto architettonico.
Ricordiamo la genialità costruttiva di Pier Luigi Nervi (1891 – 1979), ingegnere, strutturista del cemento armato, che si espresse attraverso l’architettura dell’ingegneria, qualificando la costruzione come unione tra progetto artistico e progetto strutturale[12].
Nel 1958 propose un progetto – che non fu accettato – per la cattedrale di New Norcia a Peth (Australia), caratterizzato da un’innovativa tecnica strutturale con una copertura in cemento a volta di altezza 31,00 mt., sostenuta da tre pilastri. Negli anni successivi e precisamente nel 1966 realizzò la cattedrale di Santa Maria a San Francisco (USA).

20/21. P. L. Nervi, Il tetto spiovente è composto da otto segmenti di paraboloidi iperbolici, in modo tale che la sezione inferiore trasversale orizzontale del tetto è un quadrato e lasezione superiore è una croce. Quattro vetrateseparano i vari paraboloidi iperbolici dando la sensazione di leggerezza. Misura 255 piedi (77,7 m) piazza, la cattedrale si erge a 190 piedi (57,9 m) di altezza ed è coronata con un 55 piedi (16,7 m) croce d’oro.

Un’altra figura significativa del settore edilizio-sacro, e non solo ma anche del Movimento Moderno italiano, è Giovanni Michelucci (1891 – 1990). Architetto toscano, progettista di varie chiese, che a 72 anni realizzò la chiesa dell’Autostrada del Sole (San Giovanni Battista – 1961) alle porte di Firenze, proponendosi e rivedendotutta la sua metodologia progettuale precedente.
Una chiesa per gli automobilisti -‹‹La domanda che mi ponevo – Michelucci esprimeva chiaramente – era che tipo di edificio dovesse trovare chi arriva, stanco o eccitato, da Roma o Milano. Il mio pensiero si fermò sull’idea del percorso: il visitatore..[…]..avrebbe dovuto avvertire di continuare il percorso ma ad un passo diverso, ricevendo sensazioni diverse da quelle provate durante il viaggio ed appunto, richiamati da lontano dai muri in pietra naturale, dai contrafforti in cemento e dalla “tenda” della copertura in rame, entrano all’interno e vivono un senso di riposo opposto al correre frenetico dell’autostrada››[13]. Un edificio-chiesa caratterizzato da una composizione architettonica che vorrebbe, puntando sull’immagine della copertura a tenda, recuperare il valore trascendentale e simbolico della “Tenda della riunione” , citata nella Sacra Bibbia. La tensione liturgica al suo interno è latitante (in essa ‹‹si incontra un’acuta attenzione alla sensazione, allo stato d’animo in un contesto di umanesimo orizzontale connotato psicologicamente, al quale è piegato e dal quale origina anche il recupero simbolico della copertura a tenda.››[14]) – a causa dell’itinerario creativo interno, dato dal volume, dalle luci, dalla “foresta” dei pilastri in cemento, che concorrono a svilire la valenza simbolica dei suoi poli liturgici rendendoli incapaci di comunicare e rivelare i propri e veri significati.

22/23. Giovanni Michelucci, veduta esterna ed interna della chiesa San Giovanni Battista (dell’Autostrada del Sole).

Nel 1926 nacque il Gruppo 7 – composto da I. Gardella, L. Figini, G. Frette, S.
Larco, G. Pollini, C. E. Rava, G.Terragni e U. Castagnola, quest’ultimo sostituito nell’anno seguente da A. Libera – il quale, rifacendosi alla corrente Razionalista, si propose nel campo architettonico con una successione di articoli su ‹‹Rassegna italiana›› scrivendo: ‹‹La nuova architettura..[…]..deve risultare da una stretta aderenza alla logica, alla razionalità..[…]… Noi non pretendiamo affatto di creare uno stile, ma dall’uso costante della razionalità, dalla perfetta rispondenza dell’edificio agli scopi che si propone,…››[15]. Di questa équipe annotiamo due dei suoi componenti: Luigi Figini (1903 – 1984) e Gino Pollini (1903 -1991), i quali realizzarono in collaborazione a Milano nel 1952 – 1954 la chiesa della Madonna dei Poveri. Un edificiochiesa totalizzato da uno schema tipologico modello basilica paleocristiana con l’altare ubicato in fondo alla “navata” principale.
‹‹Nel campo dell’architettura sacra – scrivevano, sottoponendo il progetto alla giuria – tra gli edifici che più compiutamente hanno espresso un senso di religiosità, profonda e solenne ad un tempo, sono certo le chiese cristiano-primitive. A questi archetipi abbiamo cercato di accostarci nel nostro studio: non tanto però alle forme e alle linee di tali organismi, quanto – nei limiti delle nostre forze – allo spirito che li ha originati e li pervade, antitetico sia alle frigidezze formali del Rinascimento e
del neoclassico, sia all’“horror vacui” del barocco››[16].

24/25. L. Figini e G. Pollini, veduta esterna ed interna della chiesa della
Madonna dei Poveri a Milano del 1952 – 1954, ©Enrico Togni.

Un altro personaggio illustre nel panorama architettonico di culto italiano è Ludovico Quaroni (1911 – 1987). Docente presso la Facoltà di Architettura di Roma, attento al pensiero del Movimento Razionalista e autore di varie pubblicazioni e articoli in materia, affermava: ‹‹La produzione corrente, del resto, non ha molto bisogno di mecenati e di grandi artisti: avrebbe piuttosto necessità..[…].., d’una buona educazione per il progettista corrente; educazione che, ripetiamo, non potrà mai essere fatta sulla base di modelli d’eccezione, o sulla base d’un codice riconosciuto ufficiale››[17].

26/29. L. Quaroni, pianta e vedute esterne della chiesa San Vincenzo de Paoli a Matera del 1951.

Tra le sue opere nel campo dell’edificazione religiosa segnalo: la chiesa di San Vincenzo de Paoli nel borgo “La Martella” a Matera del 1951, la quale è
composta da un unico spazio longitudinale – lungo più di 20 mt. -, organizzato sulla divisione tra aula liturgica e presbiterio che ne segna la sua composizione. Uno spazio assembleare, architettonico povero e iconoclastico, con un’illuminazione discutibile, fornita da lanterne a parete, e con i banche a battaglioni per assistere ad uno spettacolo ecclesiale
La Germania, impegnata nella ricostruzione a seguito delle ultime due guerre e nella disorientata e dispersa perdita dei valori che ne erano derivati, vide un suo risorgere architettonico prima attraverso la scuola di design – Bauhaus – a Weimar costituita da Walter Gropius (1883 – 1969) nel 1919 e dopo, nel settore sacro, un punto di riferimento fu senz’altro il movimento liturgico tedesco (Liturgiche Bewegung) guidato dal grande teologo e liturgista Romano Guardini (Verona, Italia, 1885 -1968). La cui opera di ricerca teologica mirava a sviluppare un’azione rinnovatrice
del luogo della celebrazione liturgica, fondata sull’unione tra analisi architettonica e riconsiderazione teologica del rito della messa. Iniziativa che ‹‹portò a sperimentare soluzioni innovative sullo spazio sacro e sui suoi principali poli architettonici in netto anticipo sulle formulazioni del decreto Conciliare››[18].
Contribuirono con le sue opere a modernizzare profondamente l’architettura sacra, grandi architetti come Dominikus Böhn (1880 – 1955), Otto Bartning (1883 – 1959), Rudolf Schwarz (1897 – 1961), Emil Steffann (1899 – 1968), ecc.. Grandi architetti che non si limitarono a proporre modifiche moderniste nella disposizione compositiva e tipologica, bloccando di fatto l’architettura sacra dallo storicismo diffuso e preminente del momento, ma associarono un concetto spaziale per ottenere una forma partecipativa all’azione liturgica, basato sulla tipologia architettonica pseudocentrale, dove il centro spaziale non coincideva con il centro geometrico dell’organismo realizzato. L’idea tipologica dominante, in tutte le loro opere, era data dal loro accentrare l’attenzione dei fedeli non solamente sull’involucro murario (contenente), ma sullo spazio interno (contenuto), nel quale i partecipanti potessero essere attori protagonisti e non semplici spettatori della celebrazione eucaristica.

30/31. D. Böhn, La chiesa cattolica di St. Wolfgang è una chiesa espressionista ed è ancora oggi un punto di riferimento della moderna architettura sacra tedesca. Tratta da:
www.you-are-here.com/kirche/wolfgang.

32/33. E. Steffan, veduta esterna, PfarrKirche St. Hedwig, Köln-Höhenhaus del 1966.Tratta da: de.wikipedia.org., © Magnus Manske

Fra le tante costruzioni religiose realizzate in Europa in quest’epoca, solo quelle progettate dagli architetti tedeschi, sopra-menzionati, si evidenziano in gran parte per la loro sensibilità al problema delle forme di partecipazione liturgica e indiscussa bellezza architettonica, nonostante siano inserite in contesti poco favorevoli.
Mentre tutte le altre sanno di mediocrità, evidentemente costruite basandosi solamente sulla pura dimensione stilistica personale dello spazio senza contemplare la valenza escatologica, simbolica e semantica che esso possiede e veicola.

Note bibliografiche
1. Bruno Zevi, Cronache di architettura, vol. 1, Editore Laterza, Roma-Bari 1978, pg. 2.
2. Cfr., Bruno Zevi, Spazi dell’architettura moderna, Giulio Enaudi Editore 1973, tavv. 128-129.
3. Bruno Zevi, op.cit., Cronache di architettura, vol. 7, pag. 323.
4. Bruno Zevi, op. cit., Spazi dell’architettura moderna, tav. 145.
5. Sandro Benedetti, Architettura sacra oggi, Gangemi Editore, Roma 1995, p. 29.
6. Bruno Zevi, op. cit., Cronache di architettura, vol. 7, p. 63.
7. Sandro Benedetti, op. cit., p. 152.
8. Bruno Zevi, Saper vedere l’architettura, Giulio Enaudi Editore, Torino 1948, p. 97.
9. Leonardo Benevole, Storia dell’architettura moderna, Editori Laterza, Roma-Bari 1993, p. 647-648.
10. Siegfried Giedion, Spazio, tempo ed architettura, Hoepli, Milano 1954, pp. 543-544.
11. Bruno Zevi, op.cit., Cronache di architettura, vol. 19, p. 1125.
12. Maria Antonietta Crippa, AA.VV., Architettura del XX secolo, Editoriale Jaca BooK S.p.A., Milano 1993, p. 357.
13. Giovanni Michelucci, La chiesa: un diario progettuale, intervista a cura di F. Brunetti, in “la città di Michelacci”.
14. Sandro Benedetti, Architettura sacra oggi, Gangemi Editore, Roma 1995, p. 155.
15. Gruppo 7, Architettura, in “Rassegna italiana”, dicembre 1926 (cit. in: Bruno Zevi, Storia dell’architettura moderna, Torino 1955, p. 232).
16. Bruno Zevi, op. cit., vol. 1, Editore Laterza, Roma-Bari 1978, p. 79.
17. Ludovico Quadroni, Progettare un edificio. Otto lezioni di architettura, Gabriele Mazzotta Editore, Milano 1977, p. 228.
18. Sandro Benedetti, op.cit., Architettura sacra oggi, p. 120.

Abeti Maurizio
Graduate in architecture
Independent researcher
Via SottoTen. Gaetano Corrado  n. 29 - 83100 Avellino (Italy)
cell. Phone: +393393146816 
maurizioabeti@gmail.com

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