Per volere dell’Arcivescovo di Lecce, S.E. Mons. Domenico Umberto D’Ambrosio, sono state recentemente collocate le nuove opere d’arte per l’arredo liturgico nella Cappella del Seminario: altare, ambone, sede e custodia eucaristica, realizzate dallo scultore Michele Carafa in marmo statuario e bronzo. La progettazione iconografica è stata suggerita dal liturgista Rev. Don Nicola Mattia, che così ne descrive i singoli elementi: L’altare è stato ricavato da un’ unica pietra perché uno è Cristo “sommo ed eterno pastore”(1) al quale il presbitero deve configurarsi: “Da questa inscindibile unità tra sacerdote e vittima, tra sacerdozio ed Eucaristia, dipende l’efficacia di qualsiasi azione evangelizzatrice”(2).; e unico “il nucleo del mistero della Chiesa”(3) che sull’altare si celebra. Una croce concava su ogni lato significa la “misericordiosa accoglienza del Padre manifestata e fatta conoscere nel sacrificio del Figlio” (4). La concavità della croce fa dell’altare un luogo di rifugio: “il passero trova la casa, la rondine il nido dove porre i suoi piccoli, presso i tuoi altari, Signore degli eserciti, mio re e mio Dio” (5). L’Eucaristia celebrata è esperienza della Pasqua; e Giovanni Paolo II in Dives in Misericordia n°5 scrive: “Il mistero pasquale è il vertice di questa rivelazione e attuazione della misericordia, che è capace di giustificare l’uomo, di ristabilire la giustizia”(6); e ancora: “La croce di Cristo sul Calvario sorge sulla via di quel meraviglioso scambio, di quel mirabile comunicarsi di Dio all’uomo”, e riguardo all’Eucaristia(n°13): “La Chiesa vive una vita autentica, quando professa e proclama la misericordia e quando accosta gli uomini alle fonti della misericordia del Salvatore, di cui essa è depositaria e dispensatrice. Gran significato ha in questo ambito la costante meditazione della Parola di Dio e, soprattutto, la partecipazione cosciente e matura all’Eucaristia …l’Eucarestia ci avvicina sempre più a quell’amore che è più potente della morte”. In quest’ incontro tra Dio e l’uomo si pone Cristo nostra Pasqua che sull’altare celebriamo e incontriamo. Per esprimere questa idea dell’accoglienza culminante nella misericordia che si fa Eucaristia, apice della Croce concava è il medaglione del pellicano con tutta la sua pregnanza di simbolo zoomorfo di quanto canta la Chiesa per il suo Cristo–Sposo che perennemente continua a nutrirci di Lui. Lo celebriamo cosi nel prefazio del rito della dedicazione dell’altare: “Sacerdote e vittima della nuova alleanza, egli comandò di perpetuare nei secoli il sacrificio a te offerto sull’altare della croce… (qui) si celebra il memoriale perenne… Intorno a quest’altare ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio per formare la tua Chiesa una e santa”. Sull’altare, Cristo si fa cibo per tutti, anche per chi “non è degno ma ne ha bisogno” scrive il Curato di Ars (*). In Cristo, il Padre “provvede il cibo ai piccoli del corvo che gridano a lui” (salmo 147,9), ed è da notare che il corvo è simbolo negativo nella Bibbia. In Cristo, il Padre “sazia la fame di ogni vivente” (salmo 145, 16). Tutto questo è il simbolo del pellicano che ben si applica come segno di Cristo – Altare. La croce bronzea posta a custodia delle reliquie dei santi trova nel pellicano la sua ragion d’essere; ricorre spesso nell’iconografia dei martiri la presenza del pellicano con la scritta: “Similisfactus sum pelicano” e, per estensione, possiamo affermare questo per ogni testimonianza di santità.L’ambone. La consapevolezza che la cappella è intitolata al b. Giovanni Paolo II ha condizionato la ricerca iconografica; per questo l’ambone è il tentativo di trasformare in luogo l’affermazione del beato: “Non abbiate paura: aprite, anzi spalancate le porte a Cristo” (6). L’ambone vuol essere una porta aperta, spalancata a “Cristo parola vivente del Padre” (7) certi che, aprire la porta della propria vita alla Parola proclamata e per questo compiuta (vedi Lc 4, 21), è il gesto d’i “amore che scaccia ogni timore” (1 Gv 4,18). Se noi dobbiamo accogliere l’invito a spalancare la porta a Cristo, Lui, Cristo, è la Porta (Gv 10,7) già spalancata, affinché noi “possiamo entrare ed uscire e trovare pascoli” (cfr. Gv 10, 9). S. Agostino in un suo discorso dice: “Egli ha formato i monti d’Israele, cioè gli autori delle Scritture divine. Lì andate a pascolare, se volete pascolare sicure. Ciò che udrete da quei monti formi il vostro gusto; ciò che vi viene da altre parti respingetelo. Per non smarrirvi tra le nebbie, ascoltate la voce del pastore: raccoglietevi attorno ai monti che sono le Sacre Scritture. Lì sia la delizia del vostro cuore, poiché lì non c’è nulla di velenoso né di estraneo: sono pascoli inesauribili” (8). La liturgia delle ore della dom. I sett. all’Ora media ci fa pregare e invocare il Signore Gesù e dire con il salmo 117 “È questa la porta del Signore, per essa entrano i giusti”. S. Tommaso d’Aquino commenta: “L’ufficio della porta… s’addice bene a Cristo, perché, chi vuol entrare nel mistero di Dio, bisogna che passi per lui; Questa è la porta del Signore – Cristo – e i giusti entreranno in essa…nessun altro è la porta se non lui perché nessun altro è la luce vera”(9). Nel Motu Proprio dell’11 ottobre u.s., Benedetto XVI, esordisce: “La porta della fede (cfr At 14,27) che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa è sempre aperta per noi. È possibile oltrepassare quella soglia quando la Parola di Dio viene annunciata e il cuore si lascia plasmare dalla grazia che trasforma. Attraversare quella porta comporta immettersi in un cammino che dura per tutta la vita. Esso inizia con il Battesimo, mediante il quale possiamo chiamare Dio con il nome di Padre, e si conclude con il passaggio attraverso la morte alla vita eterna, frutto della risurrezione del Signore Gesù che, con il dono dello Spirito Santo, ha voluto coinvolgere nella sua stessa gloria quanti credono in lui”.(10) Accogliere la Parola proclamata è sempre ascoltare la voce del “Pastore Grande” (Eb 13,20), Cristo, che s. Ignazio d’Antiochia definisce: “Bocca verace per mezzo della quale il Padre ha parlato in verità”(11). Accogliere la Parola proclamata è sempre accogliere “Cristo nostra Pasqua”(1Cor 5,7), che ci apre la porta dell’eternità e, per questo, il medaglione di bronzo raffigura l’annuncio pasquale alle donne (Mt 28, 1 ss; Mc 16, 1 ss; Lc 24, 22ss). La scena pasquale del medaglione serve per fare memoria che qualunque sia la Parola proclamata e il Tempo liturgico o la circostanza liturgica per la proclamazione, è sempre “annuncio della morte e proclamazione della resurrezione di Cristo nell’attesa della sua venuta” (cfr. Messale romano) e così Parola ed Eucaristia sono lo stesso Cristo–Sposo che la Chiesa ama e attende.Il tabernacolo. Nella parte marmorea troviamo un motivo vegetale: foglie di leccio per “incarnare” nelle coordinate spazio–temporali (Lecce) il mistero di Cristo; ma certamente troviamo in questa fattura l’eco della fede che, facendosi cultura, riconosce nel Figlio della Vergine “il fiore germinato nel ventre suo”(12). La Chiesa, sposa innamorata, basandosi sulla Scrittura (Cc 2,1), da sempre celebra il suo Sposo chiamandolo Fiore. La Chiesa–Sposa, sempre basandosi sul dato biblico, ha sempre invocato Cristo–Sposo definendolo Sole (vedi anche Lc 1, 78) e nel dono dell’Eucaristia, essa ha riconosciuto il “Sole Vivo” che splende nel giorno: “Dell’unica Pasqua di Cristo che è l’eterna Pasqua della Chiesa” (13). Anche i raggi di questo Sole possiamo riconoscere nella parte marmorea della custodia Eucaristica che ci ricorda che: “L’Eucaristia è mistero di luce” (Giov. P. II, Mane Nobiscum Domine 11). La porta bronzea del tabernacolo racconta il fulcro degli eventi evangelici della sera di Pasqua (Lc 24); i discepoli a Emmaus riconoscono il Risorto allo spezzare del pane (Lc 24,35) nello stesso documento al n° 14 il beato continua: “È significativo che i due discepoli di Emmaus, convenientemente preparati dalle parole del Signore, lo abbiano riconosciuto mentre stavano a mensa nel gesto semplice della ‘frazione del pane’. Una volta che le menti sono illuminate e i cuori riscaldati, i segni ‘parlano’. L’Eucarestia si svolge tutta nel contesto dinamico di segni che recano in sé un denso e luminoso messaggio. È attraverso i segni che il mistero in qualche modo si apre agli occhi del credente”. S. Bernardo nel suo commento al Cantico dei Cantici, prega: “O Piissimo, spezza ancora il tuo pane agli affamati; spezzalo con le mie mani, se ti degni, ma con le tue forze”. In questa scena il nostro sguardo è colpito principalmente dalla mensa, dove l’artista ha sottolineato il rapporto tra tabernacolo e altare e ha inteso dire che, quanto è accaduto a Emmaus, accade in ogni Messa. Intorno alla mensa Gesù occupa il posto di fronte all’assemblea (come a presiedere) e i discepoli i due laterali, lasciando libero il lato verso di noi, quasi invito ad occupare questo posto sedendoci a mensa con Cristo come suoi discepoli. Se accettiamo questo invito ed entriamo a far parte dei commensali di Emmaus, formiamo un calice tridimensionale nel quale contenere la bevanda di salvezza. La mensa è proposta con la forma dell’ultima lettera dell’alfabeto ebraico: il tau ( ? ) che, secondo alcune credenze, è il segno posto sulla fronte di Caino per la sua salvaguardia (vedi Gn 4, 15); la mensa di Emmaus, dove ci arde il cuore nel petto (Lc 24), diviene per noi il luogo della salvezzaLa presidenza. Con la sua luminosità è riferimento al Trono della Gerusalemme Celeste, sul quale è assiso l’Agnello (cfr. Ap 7, 9 ss); lo sguardo all’Agnello dell’Apocalisse deve dare umiltà al presidente, il quale deve considerare come rivolto a sé l’invito di Rm 12, 8: “Chi presiede lo faccia con diligenza” senza mai dimenticare che la carità è attributo della presidenza liturgica. Nel medaglione il buon Pastore seduto sulla “Pietra scartata dai costruttori” (Atti 4, 11) “ è Gesù” (ib.), in verità non c’è altro modo per la presidenza della liturgia. Il Pastore è girato con la faccia verso la pecora come l’ “Arniu” dell’Ap. E, così, il segno è completo e ci dice che la presidenza è per condurre i fratelli al Mistero.
NOTE: 1. Giovanni Paolo II, Pastore dabo vobis 15, LEV, 1992 2. Congregazione per il Clero, Il presbitero, maestro della Parola Ministro dei Sacramenti e guida della comunità in vista del terzo millennio cristiano, EP, 1999 3. Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharestia, 1, LEV 2003 4 . Giovanni Paolo II, Dives in misericordia 1, E.V. 7 (da qui tutte le citazioni della stessa Enciclica) 5. Salmo 83,4; citazione dal Rito della dedicazione Altare (*) Citato in Benedetto XVI, Lettera di indizione dell’Anno Sacerdotale, 2009 6. Giovanni Paolo II, omelia all’inizio del pontificato 22. X. 1978, Vatican.VA 7. Messale Romano Italiano prefazio alla Preghiera Eucaristica II 8. T. C. Oden, La Bibbia Commentata dai Padri, A.T. vol.12, Città Nuova, 2010 9. ib 10. Osservatore Romano, Anno CLI, 17- 18 ottobre 2011 11. Breviario Romano, vol. III, 17 ottobre, Ufficio delle Letture 12. cfr. Paradiso, XXXIII celebrato nel Breviario Romano, comune della Vergine Maria 13. Affermazione attribuita a Giovanni Paolo II. Lo scrivente non ha trovato riscontri.Scultore
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