Marcello Maltese


Il terremoto ha spaccato la testa delle persone – mi racconta un amico del Belice: … c’era vera miseria, la gente – i contadini – non aveva di che campare. Il sisma ha aperto le case e ha mostrato tutto questo, ha reso evidente la realtà. Con i primi soldi della ricostruzione iniziarono a costruire la casa, dopo un po’ fecero quattro conti, lasciarono la casa incompleta e comprarono il trattore, che in una giornata gli sbrigava il lavoro che prima compivano in settimane … fu una vera rivoluzione.

Dopo il sisma, perduta ogni cosa, molti andarono via: Australia, Stati Uniti, Nord Italia (i paesi del Belice avevano un tasso d’emigrazione ‘fisiologico’, incoraggiato dopo il sisma anche dall’atteggiamento delle istituzioni). Almeno duemila gibellinesi emigrarono in seguito al terremoto, il resto della popolazione, 4.000 persone circa, fu ‘deportata’ in due baraccopoli distinte, Madonna delle Grazie e Rampinseri. Sei paesi completamente distrutti, 1.150 vittime (molti per mancanza di pronto intervento), 98.000 senza casa, 100.000 con case cadenti. Due anni dopo, nonostante le promesse, la gente di Gibellina era ancora nelle baracche, ad ammalarsi e perire per il freddo e l’umidità. Leonardo Sciascia, Carlo Levi, Renato Guttuso, insieme a Zavattini, Caruso, Treccani, Cagli, Damiani, Zavoli scrissero in un appello: … sentiamo come uomini e come siciliani il dovere di rivolgere all’opinione pubblica mondiale e, per essa, agli uomini che la rappresentano, l’invito per una riunione a Gibellina nella notte tra il 14 ed il 15 gennaio, nel secondo anniversario del terremoto; perché vedano, perché si rendano conto … In un paese e con una classe di potere sensibile solo alla retorica, abbiamo bisogno di questa solidarietà, forse retorica, affinché lo Stato Italiano, il Governo, siano chiamati a discolparsi di fronte al mondo civile. Perché ci sono tanti modi di conculcare la libertà, di opprimere, destituire l’uomo dal diritto e dalla dignità: uno di questi modi è quello che lo Stato Italiano e il Governo della Repubblica attuano nella Valle del Belice …

Vedute di Gibellina

A quell’appello risposero solo intellettuali ed artisti.
La veglia tra le macerie del vecchio abitato fu uno dei momenti più importanti per la rinascita della comunità gibellinese e per il Belice.
Le popolazioni dei paesi colpiti, guidate principalmente dai sindaci di Gibellina e Santa Ninfa, si opposero con tutte le loro forze a quella situazione, si recarono in massa a Palermo e a Roma finché non iniziarono ad ottenere quel che gli spettava, tanto che nel 1988 un giornalista potè scrivere: La gente del Belice ha dato vita al più grande movimento unitario di lotta che il mezzogiorno abbia mai avuto.

La prima scelta importante fu quella di collocare il paese in un sito completamente nuovo, a 15 km di distanza e dall’altro lato del colle, decisione non facile perché c’era inizialmente l’ipotesi di unificare gli insediamenti di Gibellina, Poggioreale, Salaparuta, nell’idea che una municipalità più numerosa avrebbe goduto di maggior potere contrattuale nei riguardi del governo centrale. Il sindaco di Gibellina eletto dopo il sisma (il giorno del terremoto dovevano tenersi le elezioni municipali, sospese e rinviate di 17 mesi) riuscì, dopo lunghi ed intensi dibattiti in consiglio comunale, a far ricostruire il paese in una posizione strategica nei confronti delle reti infrastrutturali, a lato della stazione ferroviaria di Salemi, di fronte all’autostrada A29 che collega Palermo a Mazzara del Vallo. Gibellina è stata la terra della nostra servitù, sia
questa la terra della nostra libertà. Posiamo qui tutto il nostro passato, perché questo sia un giorno di vita, furono le parole pronunciate il giorno dell’occupazione dei terreni di Salinella.

Vedute di Gibellina

L’altra idea guida era quella di fare di Gibellina un laboratorio artistico all’aria aperta. L’arte avrebbe dovuto aiutare a creare in quel luogo ancora privo di storia per la comunità, un nuovo patrimonio culturale condiviso, una memoria visiva dei luoghi, i segni distintivi del tessuto urbano- come scrive Marcello Fabbri – sul quale si collocassero nuovi ricordi, per una collettività alla quale memoria e identità erano state rase al suolo, fisicamente e psicologicamente.
Nino Soldano, famoso gallerista siciliano, donò immediatamente alla città 200 opere d’arte, che oggi costituiscono il nucleo del Museo Civico ed una collezione di gran valore. Sulla scia di questa donazione, tantissimi artisti iniziarono a donare dipinti e sculture. In breve tempo il Museo Civico si riempì di un numero di opere il cui valore sarebbe stato sufficiente a ricostruire nuovamente il paese.
Le case, inizialmente edificate sul modello statale della casa popolare unifamiliare (cellula identica ripetuta in lunghissime schiere, allineate al reticolo delle strade carrabili e pedonali), furono poi più liberamente interpretate dai proprietari, anche se sempre all’interno delle schiere. Siamo già a cavallo del 1980, quando furono collocate le prime
sculture.
Esiste un diffuso e scontato giudizio negativo sulla mancanza a Gibellina di un vero sistema urbano/relazionale. Cito le parole di un architetto che lavorò a Gibellina, Marcella Aprile: … i nuovi monumenti e le case tendono entrambi a conquistare ed affermare perentoriamente in sé la totalità e per ciò stesso non possono fare tra di essi sistema. La contaminazione, chiara e visibile, investe solo il linguaggio e l’immagine, ma non mette in discussione, anzi conferma, la solitaria e variopinta moltitudine di oggetti su un fondo uniforme di velluto grigio (‘Quattro generazioni di case a Gibellina’, in Labirinti, anno II, numero 2).

Vedute di Gibellina

Sarebbe però stato impossibile il contrario, per una città di nuova fondazione in cui significati e relazioni si svilupperanno lentamente, com’è giusto che sia. Credo, nonostante sembri una cosa difficile da accogliere, che l’insieme delle opere di cui il paese si è dotato costituiscano di per sé buona parte del patrimonio storico e culturale di quella comunità, perché in esse si identificano e rappresentano la solidarietà e la caparbietà che hanno ricostruito dal nulla le fondamenta di un’intera comunità sradicata. La storia che lega Gibellina alle sue opere d’arte (donazioni, acquisizioni, attrezzature) è per sempre vincolata alla storia delle persone che l’hanno ricostruita. Commentava Pietro Consagra che non solo i gibellinesi sono in qualche modo perplessi, lo sono soprattutto quelli che pensano che una città in Sicilia non può permettersi tanto lusso da adornarsi con grandi opere di artisti notissimi: … Gibellina è riuscita dove nessun’altra città ha saputo mirare, ha ottenuto attenzione come una provocazione mentre in verità l’intento è stato quello di fare fronte a una necessità individuale e irresistibile: legarsi alla creatività continua dell’arte che esprime fiducia … vivere la sensazione spirituale che proviene dall’ornamento come aiuto a stare al mondo. Due fazioni si scontrano da tempo sull’argomento: da una parte i detrattori dell’esperienza gibellinese, sommariamente liquidata nel ‘Sacco del Belice’, e dall’altra gli esaltatori della stessa, altrettanto categoricamente giustificata come rivincita incompiuta dell’arte, e del suo valore trascendente e salvifico. Alcuni luoghi comuni sono utilizzati come punti di partenza delle critiche: il disagio degli abitanti tra tante opere d’arte e altrettanta disoccupazione, il crollo della chiesa madre, prima ancora della sua inaugurazione. Negli anni seguenti sui quotidiani apparvero titoli scandalistici su presunti saccheggi o sprechi di denaro
pubblico durante la ricostruzione. Questa interessò molti insediamenti, ognuno con caratteristiche e danni differenti; è probabile che vi furono operazioni di ‘rapaci finanzieri’, coperte anche da qualcuno e aiutate da spostamenti di intere popolazioni, certamente estranee a tali speculazioni. La verità fu ristabilita quando si occupò della vicenda, in
qualità di commissario governativo, Antonio Di Pietro.

Vedute di Gibellina

Diceva Damiano Damiani: … Gibellina è soprattutto un luogo dove la popolazione intera, aiutata dalla mediazione e dalla volontà del Sindaco, ha imparato il significato di parole come impegno civile e partecipazione decisionale … Elettrificazione, fognature, scuole, ospedale sono basilari, ma non meno basilare è l’apertura delle porte culturali
… L’Italia è paese di terremoti. In certi casi la ricostruzione è stata onesta e positiva. Ma credo che raramente si sia raggiunta la completezza del ricostruire, nel pieno significato morale e materiale della parola, com’è stato fatto dalle popolazioni di Gibellina …(D. Damiani, ‘La Sicilia della speranza’, in Labirinti, Anno I, numero 1, febbraio 1988).
Le leggi che, grazie all’ostinazione della gente del Belice e di qualche amministratore, il Governo dovette varare, furono quelle di cui negli anni seguenti si servirono le popolazioni di altre regioni italiane colpite da sismi gravissimi.
Il 16 luglio del 2005 moriva Pietro Consagra, sicuramente colui che maggior lascito in opere d’arte ha concesso alla nuova città. Mazarese di nascita, ha chiesto prima di morire di essere sepolto a Gibellina.
Alla cerimonia funebre era presente tutta la cittadinanza, uomini, donne, bambini, una moltitudine silenziosa che ha colpito e sorpreso anche i familiari dell’artista. Una persona presente alla cerimonia mi ha detto che quel pomeriggio, guardando le centinaia di persone che affluivano alla piazza del Municipio portando un fiore in mano, ha sentito che quello era un momento speciale, che Gibellina era realmente una città, una civitas ricostruita, che stava celebrando uno dei suoi eroi e se stessa. In questi casi si tende a idealizzare l’evento, ma di certo i gibellinesi guarderanno e percepiranno già diversamente le opere di un uomo che 37 anni fa tornò in Sicilia per un’idea, per aiutarli in un compito difficilissimo e che alla fine ha scelto di essere seppellito in mezzo a loro.

Vedute di Gibellina

Non so se sia semplicemente questo il compito assegnato all’arte, sostenerci e tenerci vigili durante il lungo e periglioso viaggio che è la nostra storia, né se possa in fin dei conti avere un fine più alto. La storia recente di Gibellina mi sembra però un’inoppugnabile testimonianza di ciò, e insieme anche della compassione di alcuni uomini (quindi di tutti) per se stessi e per i propri simili.

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Archeoclub d’Italia
movimento di opinione pubblica
al servizio dei beni culturali e ambientali

 

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