Lavorato da tre millenni in Europa nelle forge a carbone di legna, il ferro venne fornito fino al 1800 da esigui giacimenti di minerale alluvionale superficiale. I minerali di ferro, ematiti, magnetiti, sideriti ecc. venivano ridotti direttamente con carbone di legna in forni detti "bassifuochi" funzionanti a tiraggio naturale, realizzato orientando i forni secondo la direzione dei venti dominanti nelle vallate, oppure con aria soffiata a mezzo di mantici. Il prodotto era costituito da piccoli ammassi spugnosi di metallo che venivano schiacciati, battendoli a caldo per eliminare le scorie, e poi forgiati nelle forme volute. Ma il sempre crescente consumo del carbone di legna, il solo combustibile usato in tempi antichi per le operazioni metallurgiche, porta a una rapida rarefazione del patrimonio forestale di molti Paesi e intervengono allora le autorità governative che vietano severamente il taglio indiscriminato degli alberi (che ebbe conseguenze disastrose su intere regioni) rallentando così la produzione di carbone di legna. Si tenta allora l’uso di carboni minerali e si apre una nuova fase con la fabbricazione della ghisa a coke che soddisfa la crescente ed enorme domanda determinata dalla Rivoluzione industriale. In pochi decenni il consumo passa da poche centinaia di migliaia di tonnellate a decine di milioni di tonnellate.
Se l’impiego del ferro per oggetti di comune utilità si può far risalire alla preistoria, la sua dignità come prodotto di arte decorativa gli viene da una delle figure più caratteristiche dell’artigianato medievale: quella del fabbro ferraio. Così come è tipicamente medievale la costituzione di confraternite, corporazioni e scuole di mastri ferrai o "ferrari", come venivano allora chiamati. In una pergamena seicentesca conservata nel Museo dell’Opera del Duomo di Orvieto la corporazione dei fabbri ferrai è al quarto posto su 19 corporazioni e ciò sottolinea l’importanza che la figura del fabbro ferraio aveva in quell’epoca. Fino al 1200 il fabbro crea disegni geometrici e stilizzati a volte di singolare bellezza e frequentemente orientaleggianti, ispirati ai modelli islamici, che raggiungono notevole splendore in Spagna e in Francia, ma già nel 1300 in Italia e verso il 1400 in Germania e nel resto dell’Europa gli artigiani abbandonano la stilizzazione per una vera e propria composizione ornamentale preannuncio della sontuosità barocca e della raffinatezza rococò, che diventerà poi lo stile internazionale francese del Settecento.
Nell’Ottocento il ferro battuto verrà pian piano sostituito dalla ghisa e dai prodotti di fusione ed all’antica lavorazione del paziente artigiano si sostituisce la ripetitività di un prototipo variamente combinato. Ma un rifiorire dell’antica arte tradizionale del fabbro ferraio si verifica in Inghilterra nella seconda metà dell’Ottocento, con la rivalutazione dell’artigianato promossa dal movimento "Arts and Crafts" che aveva lo scopo di porre rimedio allo scadimento qualitativo dei prodotti d’uso comune e auspicava, un po’ utopicamente, un ritorno ai metodi medievali sia come produzione artigianale che come organizzazione sociale del lavoro. Analoghe situazioni si presentaranno pochi anni dopo in Francia per merito dell’Art Nouveau, in Austria e Germania con lo "Jugendstill" e in Italia con il Liberty. Nella prima metà del Novecento, la revisione critica delle arti decorative attuata dal Bauhaus sarà però l’inizio di un graduale abbandono dell’antica e nobile arte del ferro battuto che in sette secoli ha saputo produrre dei piccoli capolavori come testimoniano le illustrazioni di questo volume. Vi è da augurarsi che tale tradizione abbia una sua continuità.
NOTIZIE TECNICHE E STORICHE Il ferro è un elemento semplice, metallico, di colore grigioazzurro, decisamente duttile e malleabile. Fra tutti i metalli è senz’altro il più resistente. A questa qualità unisce il vantaggio di essere abbondante e di facile estrazione, il che lo rende relativamente economico. Grazie all’abilità di chi lo lavora, è ricercato per tutti gli utilizzi che, pur avendo un modesto sviluppo dimensionale, esigono una grande forza ed una particolare solidità. Nell’arte dell’arredare, è al ferro che si ricorre per recinzioni, serrature interne, cancellate, ringhiere, balaustre, intelaiature, grate. È, inoltre, ampiamente utilizzato nella produzione di parure per caminetti; gli alari sono spesso in ferro, palette e molle quasi sempre. Se ne ricavano infine cornici, lanterne, lampade, supporti, candelieri, piedistalli fino a veri e propri pezzi di arredamento. Quasi tutti i paesi sono produttori di minerali di ferro; sono tuttavia quelli svedesi a godere della migliore reputazione. Senza addentrarci nei dettagli tecnici di fabbricazione, ci limiteremo a ricordare che il minerale, sottoposto ad elevata temperatura, si liquefa dando vita alla ghisa. La ghisa, che può assumere svariatissime forme se colata in stampi, costituisce una prima specie di ferro molto acre cioè fragile, senza elasticità né legame, utilizzabile nel settore dell’abitazione unicamente per la confezione di oggetti relativamente grossolani. È con la ghisa che vengono fabbricati fondi di caminetti, stufe, condotti, alcuni vasi più o meno decorativi, ringhiere ecc.
In pratica, la ghisa viene colata in stampi speciali che possono contenere da 500 a 600 chili di metallo. I lingotti, in tal modo ottenuti, prendono il nome di pani. In seguito, i pani vengono sottoposti nella fucina ad elevate temperature fino ad assumere un colore rosso-bianco prima di essere battuti con un enorme martello meccanico: il maglio. Dal metallo in tal modo lavorato si ricava il ferro propriamente detto. Con questa seconda operazione il metallo viene completamente trasformato: non è più fondibile (brucia ancora ma non può più essere fuso) ed è dolce cioè non più fragile. Grazie alla sua elasticità potrà esser piegato, inciso, scolpito o lavorato alla lima. Il ferro, così ottenuto, viene modellato in barre quadrate o piatte, in aste rotonde di varia grandezza e in fogli. Viene quindi consegnato, sotto una di queste tre forme, al settore commerciale che lo utilizza. Il ferro viene lavorato a caldo e a freddo. A caldo per lavori di saldatura (il ferro si salda a 950 gradi) e lavori che richiedono l’utilizzo di barre spesse. Tutti i lavori a sbalzo, di modellatura su superfici relativamente sottili, il taglio, il sollevamento, la cesellatura hanno invece luogo a freddo. Ma, in entrambi i casi, l’artista che lavora il metallo deve dar prova di una grande esperienza, di una profonda attenzione, del colpo d’occhio giusto, di un braccio solido e di una mano ferma e sicura. II trattamento al quale viene sottoposto il ferro potrà aumentare o deteriorarne le qualità. Un grado di temperatura troppo elevato potrà corromperlo; colpi di martello troppo forti produrranno crepe difficilmente eliminabili. L’abile artigiano dovrà inoltre guidare, in un certo qual senso, il metallo con il martello, spostarne le molecole, rafforzarne i punti deboli e sottili, ridurne quelli troppo spessi.
Si vuole realizzare un incavo o un rilievo su un foglio di lamiera? Non si dovrà lavorare sul punto stesso in cui si desidera ottenere il rilievo o l’incavo ma nei punti vicini, in modo da spingere il metallo e fornire materia mentre si imprime la forma desiderata. Per opere di valore si utilizza in genere il ferro saldato a caldo. Per saldare il ferro a caldo vengono messe insieme diverse lastre, che dopo esser state riscaldate fino a raggiungere un colore rosso-bianco, vengono battute fino ad ottenere un pezzo unico. Questo lavoro viene effettuato oggi meccanicamente sebbene questo non sembri migliorare la qualità del metallo utilizzato. Il ferro odierno, saldato a caldo al maglio e trasformato in barre tramite laminatura al cilindro, che presenta di fatto la stessa duttilità del ferro di un tempo che, battuto e ribattuto, assumeva, dopo ripetuta saldatura a caldo, la forma di barra o lamiera. Il ferro reso solido da questa battitura ripetuta si saldava con maggiore facilità; liberato dalle parti di ghisa che lo crepano, bruciava con maggiore difficoltà. Inoltre, per perfezionarlo ulteriormente, si ricorreva all’uso del carbone di legna il cui calore più dolce e meno acre lascia al metallo quelle qualità che gli vengono invece tolte con il carbon fossile usato per produrre la ghisa. Grazie all’abilità di chi lo lavora, il ferro può essere utilizzato sia per opere grandi e solide come per oggetti delicati. Gli operai che gli danno la prima forma prendono il nome di FABBRI. È a loro che si deve la creazione di barre, aste, catene ecc.
I FABBRI FERRAI lo trasformano invece in vere e proprie opere d’arte. Aggiungiamo comunque che il ferro, malgrado queste numerose qualità, presenta un grande difetto: si ossida con estrema facilità. Per porre rimedio a questo inconveniente si è costretti a controllarlo costantemente e a ricorrere ad una continua manutenzione per impedire alla ruggine, sua mortale nemica, di portare a termine la sua opera di distruzione. Un tempo, per preservare il ferro dalla ruggine, si argentavano o doravano i piccoli oggetti mentre si verniciavano i grandi. Si continuano oggi a dipingere cancellate, balconi, catene, balaustre, corrimano, ed in genere tutte le parti in ferro che restano esposte all’aria. Nelle cancellate di lusso si ricorre anche alla doratura per dare maggiore splendore a determinate parti. Per i piccoli pezzi di arredamento vengono invece lasciati oggi al ferro il suo colore ed il suo aspetto naturali, fatta eccezione per alcuni piccoli oggetti di utilizzo quotidiano rivestiti con un sottile strato di nickel. Va inoltre rilevato che il problema dell’ossidazione del ferro ha da sempre preoccupato coloro che lo utilizzano. A più riprese, si è fatto ricorso a diverse procedure per ovviare a questo grave inconveniente. Già nel Settecento i giornali parigini pubblicavano un rimedio svedese che consisteva nel rivestire in primavera le opere in ferro con un miscuglio di fuliggine e catrame (Annonces, affiches et avis divers, 19 marzo 1755). Quattro anni più tardi veniva aperta a La Villette una manifattura per la produzione di una sostanza che, unendosi al ferro, doveva impedirne l’ossidazione. Questo composto, inventato da Chartier, fu approvato dall’Accademia delle scienze e privilegiato per decreto del Consiglio di Stato del 13 luglio 1759. Poteva essere utilizzato per tutti gli utensili in ferro di uso comune come serrature, bocchette, chiavi, spagnolette, placchette, targhette, chiavistelli, aste, pulsanti a rosetta, alari, falci, pomelli, corrimano, balconi, cancellate, in poche parole tutto ciò che ha a che fare con l’edilizia (A vant-Coureur, 24 marzo 1760). Non sembra tuttavia che queste varie innovazioni abbiano portato ai risultati auspicati. Oggi i grandi lavori in ferro vengono passati al mino e verniciati. Durante il Medio Evo ed il Rinascimento, i fabbri ferrai ne ricavarono vere e proprie meraviglie di grazia, eleganza ed ingegno. La sua forza, la sua incomparabile resistenza unite ad una rara elasticità permisero la creazione di vere e pr
oprie opere d’arte. Nel XVII e XVIII secolo, seppur meno poeticamente, il riconoscimento generale si tradusse in alcune opere letterarie, soprattutto raccolte di disegni e modelli, che non possono passare inosservate. L’arte ha lavorato il ferro per unirlo all’architettura; questo ha preso forma in superbe cancellate che hanno il vantaggio di abbellire il punto di vista senza distruggerlo. Il ferro è diventato lavorabile quanto il legno; viene girato e rigirato, assume la forma di fogli leggeri e mobili; viene liberato dalla sua grossolanità per assumere "una specie di movimento". I numerosi campioni che ci restano della lavorazione del ferro di quest’epoca basterebbero a testimoniare l’elevata perfezione che si può raggiungere e la nostra ammirazione sarebbe ancora più grande se molte delle opere in ferro che abbellivano le dimore private alla fine del Vecchio Regime non fossero state distrutte durante la Rivoluzione.
Nel 1793 furono infatti requisiti tutti i lavori in ferro di alcune province. Le cancellate, i balconi, gli stessi corrimano furono per la maggior parte distrutti e a quei lavori che non furono immediatamente trasformati in picche o riforgiati non toccò certo sorte migliore. Soltanto un’infinitesima parte di questi lavori fu riportata nel suo luogo originario. Per un’inspiegabile aberrazione di gusto, la ghisa ed i grossolani lavori con questa realizzati diventarono di moda all’inizio del secolo scorso e si trovarono scrittori che affermarono che queste opere potevano sostituire i capolavori della lavorazione del ferro. Il risultato dello strano modo di valutare la lavorazione del ferro non si fece attendere ed il relatore della commissione internazionale dell’Esposizione del 1867 constatava che "l’utilizzo quasi esclusivo della ghisa per cancellate, corrimano, ecc. dal 1825 al 1845, aveva fatto abbandonare ai fabbri ferrai i lavori di fucina nelle grandi città e si trovavano ormai fabbri soltanto fra i maniscalchi". Fortunatamente da circa trent’anni pubblico ed architetti sono ritornati ad idee migliori. La lavorazione artistica del ferro ha ritrovato il suo antico splendore recuperando la stima di cui godeva un tempo. L’abilità dei fabbri ferrai odierni non ha niente da invidiare a quella dei loro gloriosi predecessori. Abbiamo parlato finora soltanto del ferro applicato all’architettura cioè a recinzioni, cancellate nonché alla decorazione di edifici. Ci soffermeremo ora sui mobili in ferro. Il ferro fu utilizzato per la produzione di mobili di vario genere sin dal XIV secolo. L’inventaire de Clemence de Hongrie (1328) ci parla di "una sedia in pellle decorata in ferro con uno schienale in ferro". I Comptes de l’argenterie de Charles VI (1380) parlano della realizzazione da parte di Pierre Dufou di "due grandi cassepanche ferrate con strisce in ferro", specie di casseforti che servivano a riporre la biancheria del re. Nell’Inventaire du duc de Bourbonnais (1507) si parla di una "sedia in ferro imbottita con velluto"; una "sedia di ferro" simile si trovava al castello di Condé (del 1569). Nell’Inventaire d’Amédée Chalamont (corte di Bollena 1571), si cita una "panca in ferro per sedersi". L’inventaire de l’abbé d’Effiat (Parigi, 1698) menziona "un pannello in velluto blu su un piede di ferro dorato"; quello del tesoro della chiesa di Lione (1724): "una sedia pieghevole in ferro rivestita in velluto viola, con due pomi in pelle e altri due simili al braccio". La Vente des meubles et effets de feu M. Leleu, agent électoral de Saxe (Parigi, 1769) comprende una "cuccetta in ferro con ornamenti"; e dagli Annonces, affiches et avis divers del 16 dicembre 1771 sappiamo che il celebre finanziere Paris Dauverney riposava su "una cuccetta meccanica a colonne finemente lavorata in ferro levigato". Lo stesso giornale del 2 giugno 1784 riporta: "IN VENDITA dal signor Ravant, tappezziere, rue du Colombier, una cuccetta in ferro prodotta in Russia e finemente lavorata". Infine, occorre notare che i letti adottati per i giovani delfini e le persone del loro diretto entourage, cioè governanti, balie, bambinaie ecc. erano realizzati in ferro. Vi riportiamo la descrizione del letto occupato dal Delfino, figlio di Luigi XV: "Letto con quattro colonne in ferro, 8 piedi e 6 pollici di altezza, 4 piedi di larghezza, 6 di lunghezza con telaio in ferro, asta superiore dorata, quella inferiore color acqua, asse su staffe in ferro. Damaschi color verde, un grande schienale, quattro drappeggi di una altezza ciascuno, due tende laterali di quattro altezze ciascuna ornate con zigrinatura dorata e frangia, quattro grandi lembi ornati con cartoncino dorato o argentato nella parte superiore della frangia, quattro piccoli lembi, tre zoccoli, quattro mani ornate con zigrinatura dorata". Anche il letto del giovane Luigi XVII era in ferro con quattro colonne e quindi simile a quello del suo avo. Vediamo quindi che i mobili in ferro hanno da molto tempo il diritto di essere citati nel settore arredamento per non nominare poi alari, palette, molle e parure per il caminetto che sono sempre stati realizzati in ferro e sempre lo saranno.
IL FABBRO FERRAIO NELLA FRANCIA ANTICA
È l’artigiano che lavora il ferro e che realizza oltre a serrature, catenacci, cardini, cremonesi, chiavistelli, spagnolette e altre chiusure molteplici lavori quali cancellate, balaustre, corrimano ecc. La lavorazione del ferro è una delle arti più antiche in Francia e si è sempre difesa con grande onore. Già i Galli avevano dato prova di una particolare predisposizione per questo tipo di lavori; nel Medio Evo i fabbri ferrai erano raggruppati in due potenti comunità ed è ai loro abili artisti che si deve la gloria delle magnifiche opere che ornano cattedrali e palazzi e delle serrature che i collezionisti conservano come veri gioielli. È ad essi che dobbiamo i principali utensili: lima, viti, tenaglie che consentono la realizzazione di una moltitudine di oggetti delicati ed affascinanti. E dobbiamo loro infine ingegnosi trattati, libri preziosi in cui sono raccolte le basi di questa difficile arte. Benché la lavorazione del ferro sia stata praticata in Francia sin da tempi antichissimi, ci è stato impossibile trovare tracce serie di corporazioni antecedenti al XIII secolo. Il primo documento in cui si parla di fabbri ferrai in quanto comunità industriale è il "Livre des mestiers" di
Etienne Boileau. Ma leggendo quant
o raccolto e rilegato dal prevosto dei mercanti si constata che si tratta nella fattispecie di un mestiere antichissimo caratterizzato da una particolare coesione. In epoche lontane comunque il nome di fabbro ferraio non indicava gli operai che lavoravano il ferro in generale. Chi forgiava cancellate, balconi ecc veniva chiamato "FEVRE" mentre i fabbri ferrai vittime di quel pregiudizio medievale che raggruppava gli artisti non in base alla natura del lavoro bensì del materiale lavorato erano stati sin dal principio divisi in due gruppi: i "fabbri ferrai" propriamente detti che fabbricavano unicamente serrature in ferro e gli "artigiani di serrature per scatole" detti anche "fabbri ferrai della latta". I lavori della prima di queste due comunità venivano utilizzati esclusivamente per chiudere internamente ed esternamente porte e finestre di abitazioni. Gli altri fabbricavano soprattutto "scatole, scrigni, tavole e cassepanche" da cui il nome di "BOTTIERS" che veniva dato anche ai membri di questa seconda comunità. A testimonianza dell’antichità e dell’importanza dei "fabbri ferrai", nel momento in cui Etienne Boileau ne raccoglieva e registrava i costumi, il mestiere non era libero. Si trovava sotto la giurisdizione del Maresciallo del Re che vendeva per 5 soldi il diritto di esercitarlo, percepiva inoltre annualmente da ogni mastro il denaro e 4 denari sulle multe di 5 soldi che i giurati applicavano ai loro confratelli. Questi statuti primitivi non erano molto complicati; erano costituiti soltanto da nove articoli che possono essere così riassunti: era vietato vendere una serratura nuova senza che fosse completamente corredata. Era vietato ricavare chiavi da un’impronta. Il fabbro ferraio era tenuto ad esigere che la serratura alla quale la chiave era destinata gli fosse portata. Si trattava di una precauzione saggia e ben studiata per ostacolare i ladri. Il lavoro doveva terminare con il calar del giorno "dato che la luce della notte non è sufficiente a lavorare come devono fare i fabbri ferrai". Inoltre, era più facile sorvegliare gli artigiani di giorno che di notte controllando che rispettassero le regole imposte. Il numero di lavoranti ed apprendisti non era limitato. I membri della comunità erano esenti da imposte o tasse indirette per gli atti relativi alla loro professione. Infine, due giurati erano incaricati di controllare che gli statuti fossero rispettati. Per i fabbri ferrai "boitiers", le normative erano costituite da undici articoli. Il mestiere era libero ed era possibile esercitarlo a condizione di averne i mezzi. Di contro, era possibile avere solo un apprendista alla volta e l’apprendistato durava dai sette agli otto anni. Come per i loro confratelli, i fabbri ferrai del ferro, il lavoro notturno era proibito "dato che la luce della notte non è sufficiente per esercitare questo mestiere". Occorreva anche astenersi dal lavoro a partire dall’ultimo rintocco del vespro del sabato, il tutto con pena di multa. L’articolo V è abbastanza curioso. Comincia così: "Se l’apprendista decide di andarsene o lascia il paese il suo mastro è tenuto a cercarlo per 1 giorno a proprie spese mentre il padre dell’apprendista dovrà cercarlo per un altro giorno a sue spese" e nel caso in cui il mastro ed i genitori non riuscivano a trovano, il mastro doveva rimanere senza apprendista fino alla fine del termine indicato dal contratto di apprendistato. Inoltre, se l’apprendista si ripresentava era tenuto ad indennizzare il datore di lavoro prolungando il periodo di apprendistato in modo da coprire il periodo convenuto. Gli articoli VI e VII riguardano la realizzazione dei lavori. Divieto di consegnare serrature senza molla in quanto considerate difettose e che venivano quindi distrutte. Divieto inoltre di riparare e rimettere a nuovo serrature per fabbricanti di astucci, merciai, fabbricanti di casseforti che le avrebbero rivendute come nuove. Il mestiere veniva sorvegliato da un giurato "che giurerà sul Vangelo che il mestiere viene ben svolto e che qualsiasi incorrettezza verrà riferita al Prevosto di Parigi…" Gli ultimi articoli riguardavano l’esenzione dalla guardia. Infine nell’articolo VIII si dichiarava che i compagni provenienti da altre città o gli stranieri che conoscevano il mestiere e che volevano stabilirsi a Parigi dovevano dimostrare di aver svolto un apprendistato regolare "prima di iniziare il mestiere nella città di Parigi". Malgrado gli emendamenti allo Statuto in seguito introdotti, questa disposizione fu coscienziosamente mantenuta. Alla fine del XVI secolo, il compagno che veniva da fuori era costretto a far constatare la sua capacità con un atto pubblico. Statuti e Normative raccolti da Etienne Boileau furono rimaneggiati in diversi momenti. Nel mese di novembre 1411, Carlo VI li modificò in parte ma senza cambiare di troppo le disposizioni generali. Nel 1543, Francesco I li confermò introducendovi alcuni cambiamenti. Da ultimo, sotto Luigi XIV, questi Statuti furono completamente rimaneggiati e la nuova redazione comprendente almeno 68 articoli restò la legge del mestiere fino alla Rivoluzione. In quest’ultima normativa, non soltanto le due comunità primitive vengono riunite in una sola, ma la competenza dei fabbri ferrai viene estesa a tutti i lavori in rapporto con i lavori ordinari. Così sviluppata la corporazione era governata da un sindaco e quattro giurati, due dei quali venivano rieletti annualmente. Per essere mastro occorreva esser stato apprendista ed aver eseguito un capolavoro, duplice formalità da cui i figli dei mastri venivano in parte esentati. L’apprendistato durava cinque anni dopodiché si era tenuti a lavorare in qualità di compagno per altri cinque anni. Compagni ed apprendisti non potevano lasciare il mastro senza aver ultimato gli uni pezzi iniziati e gli altri il periodo di apprendistato convenuto. Era assolutamente proibito a mastri, compagni e apprendisti di scassinare o aprire serrature di porte o mobili se non in presenza del legittimo proprietario né di forgiare o far forgiare chiavi senza avere la serratura sotto gli occhi. Per essere ammessi nella comunità in qualità di mastro, se si arrivava dalla provincia o si era stranieri, occorreva non soltanto dar prova di un serio apprendistato ma anche di aver prestato servizio per otto anni presso un mastro parigino. Di contro, i mastri parigini avevano il diritto di esercitare il loro mestiere in tutte le città del Regno a condizione di presentare il brevetto per l’esercizio del loro mestiere presso la cancelleria della città dove intendevano stabilirsi. È sotto l’egida di queste rigide normative che furono create superbe opere, oggetti di costante ammirazione; bandelle talmente perfette che il popolano st
upefatto ne attribuiva la pa
ternità al diavolo.
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