Nel suo testo "Il Sacro e il Profano", Mircea Eliade afferma: "Per l’uomo religioso lo spazio non è omogeneo; presenta alcune spaccature, o fratture; vi sono settori dello spazio qualitativamente differenti tra di loro… Vi è uno spazio sacro, quindi con una sua forza, un suo preciso significato, e vi sono spazi non consacrati, quindi privi di struttura e di consistenza, in una parola: amorfi". Lo spazio di cui parla Eliade è ultimamente altro dall’uomo stesso e in un certo senso implica una divisione, una frattura rispetto allo spazio esistenziale dell’uomo.Tuttavia, nell’esperienza cristiana, questa alterità, disomogeneità non è una spaccatura, una divisione, al contrario è una espressione di unità: in un mondo diviso in spazi privati (propri di qualcuno) e spazi pubblici (di tutti) il sagrato introduce lo spazio comune cioè lo spazio proprio di qualcuno che decide liberamente di metterlo in comune con gli altri. E’ dunque uno spazio che ha un soggetto, un proprietario identificabile, privato e tuttavia in quanto è luogo di una molteplicità di rapporti non è estraneo alla comunità. Ed è precisamente l’esperienza di questa comunione che ridà dignità allo spazio e qualità all’architettura urbana. Nel cercare di capire la natura di questo spazio, non codificato nelle attuali legislazioni postilluministiche, possiamo notare che prima che di una idea si tratta di un’esperienza storica. Infatti la nozione di spazio comune è caratteristica della storia della Chiesa che ha trasformato l’antico e originario concetto di spazio sacro, sempre recintato, separato dalla vita dell’uomo, in uno spazio esistenzialmente condiviso dall’uomo ma non riducibile alla sua misura, in quanto implica la libertà e la capacità di una condivisione che in un certo senso va oltre l’uomo. Nel cercare le radici storiche di questo fatto, possiamo notare che la Chiesa ha saputo assimilare la concezione Arch. Roberto Rizzini
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